domenica 24 maggio 2020

PANEGIRICO di PLINIO IL GIOVANE

Panegyricus di Plinio il Giovane


Plinio nacque nel 61 o 62 d.C., in una famiglia ricchissima.
Quando morì il padre nel 70, suo zio Plinio il vecchio lo adottò portandolo con sé a Roma.
Nel 79 morì Plinio il Vecchio a seguito dell'eruzione del Vesuvio per aiutare la popolazione (era a capo della flotta romana) e nell'83 morì la madre Plinia. Ereditò quindi tutto il patrimonio di famiglia.
Il suo patrimonio ammontava a circa 400 milioni di sesterzi quando un legionario ne guadagnava, in media, circa 1000 l'anno! Questo gli permise di donare alla città natale di Como una scuola e una biblioteca. Numerose furono in seguito le sue attività di filantropo.
Già minorenne fu nominato protettore della Città di Castello. Quando arrivò a Roma seguì la scuola di retorica di Quintiliano.
Dapprima esercitò la professione forense diventando un ottimo avvocato, poi dall'89 seguì la carriera politica, sotto Domiziano, comandante militare, tribuno della plebe, questore, pretore, magistrato delle acque del Tevere, amministratore dell'erario militare, poi Traiano nel 100 lo nomina Console.
E' in questa occasione che pronunciò in Senato l'orazione di ringraziamento per l'incarico, il gratiarum actio, il Panegyricum.
Il discorso di Plinio durò circa 3 ore, successivamente con l'ottica di una eventuale pubblicazione si preoccupò di rielabolarla e ampliarla.
Il Panegirico nei confronti dell'Imperatore Traiano mantiene un interesse storico in quanto è l'unico esempio di oratoria in latino, dopo quelle di Cicerone due secoli prima.
Il Panegirico a Traiano è composto da 95 capitoli, raggruppando i temi di ordine pubblico e raccontando la vita privata in ordine cronologico.
Nel Panegirico Plinio glorifica l'optimus Princeps Traiano, per le sue azioni di guerra e di pace, per essere colui che garantisce ordine e giustizia, per essere il ritratto ideale di uomo e lo esalta come garante della felicitas temporum in contrapposizione evidente a Domiziano.
Traiano viene esaltato in modo particolare perchè rispetta il Senato e le tradizioni senatorie. La libertas era il bene prezioso dell'età repubblicana perso con l'instaurazione dell'Impero. Inoltre Plinio si rallegra del ritrovato clima di "benessere libertino".
Il tono del Panegirico è spiccatamente adulatorio e a volte rasenta il servilismo. Ciò non toglie che Plinio dovesse essere sincero di sentimenti e di pensiero.
A volte egli esorta Traiano a perseverare in uno stile di vita virtuoso:
Persta, Caesar, in ista ratione propositi
“Persevera, Cesare, in questo tuo metodo di vita”.
Questa esortazione è insolita nel gratiarum actio e si distingue dagli altri precedenti. A seguito di questo Panegirico ve ne saranno molti altri e diverranno di uso frequente.
Lo stile di Plinio è asiano, egli infatti ama narrare e descrivere dettagliatamente, è molto curato ed è ricco di artifici retorici (scuola di Quintiliano).

Nel 1784 Vittorio Alfieri buttò giù una diversa versione del testo pliniano, in cui immaginava che l'autore esortasse l'imperatore a restituire ai Romani le perdute libertà panegirico a rovescio, tipiscamente alfierano.

..."Sforzato pure dalla noia, e nell’ore che cavalcare e daurigare non si poteva, tanto e tanto qualcosa andava pur leggicchiando, massime la mattina in letto, appena sveglio. In queste semiletture avea scorse le lettere di Plinio il Minore, e molto mi avean dilettato sì per la loro eleganza, sì per le molte notizie su le cose e costumi romani che vi si imparano; oltre poi il purissimo animo, e la bella ed amabile indole che vi va sviluppando l’autore. Finite l’epistole, impresi di leggere il Panegirico a Traiano, opera che mi era nota per fama, ma di cui non avea mai letta parola. Inoltratomi per alcune pagine, e non vi ritrovando quell’uomo stesso dell’epistole, e molto meno un amico di Tacito, qual egli si professava, io sentii nel mio intimo un certo tal moto d’indegnazione; e tosto, buttato là il libro saltai a sedere sul letto, dov’io giaceva nel leggere; ed impugnata con ira la penna, ad alta voce gridando dissi a men stesso: “Plinio mio, se tu eri davvero e l’amico, e l’emulo, e l’ammiratore di Tacito, ecco come avresti dovuto parlare a Traiano”. E senza più aspettare, né riflettere, scrissi d’impeto, quasi forsennato, così come la penna buttava, circa quattro gran pagine del mio minutissimo scritto; finché stanco, e disebriato dallo sfogo delle versate parole, lasciai di scrivere, e quel giorno non vi pensai più. La mattina dopo, ripigliato il mio Plinio, o per dir meglio, quel Plinio che tanto mi era scaduto di grazia nel giorno innanzi, volli continuar di leggere il di lui Panegirico. Alcune poche pagine più, facendomi gran forza, ne lessi; poi non mi fu possibile di proseguire. Allora volli un po’ rileggere quello squarcione del mio Panegirico, ch’io avea scritto delirando la mattina innanzi. Lettolo, e piaciutomi, e rinfiammato più di prima, d’una burla ne feci, o credei farne, una cosa serissima; e distribuito e diviso alla meglio il mio tema, senza più ripigliar fiato, scrivendone ogni mattina quanto ne potevan gli occhi, che dopo un pard’ore di entusiastico lavoro non mi 

fanno più luce; e pensandovi poi e ruminandone tutto l’intero giorno, come sempre mi accade allorché non so chi mi dà questa febbre del concepire e comporre; me lo trovai tutto steso nella quinta mattina, dal dì 13 al 17 di marzo; e con pochissima varietà,toltone l’opera della lima, da quello che va dattorno stampato. "...

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