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sabato 6 giugno 2020

CIRCO MASSIMO



Circo Massimo


LA VALLE MURCIA
L'area occupata dal Circo Massimo la "vallis Murcia" in origine era una zona fluviale e paludosa e garantiva una funzione di scambio commerciale in cui le comunità insediate sulla sommità dei colli potevano incontrarsi e mercanteggiare. 
Era un'area che divideva l'Aventino (colle scelto da Remo per popolare Roma in caso di vincita contro Romolo) dal Palatino (colle scelto da Romolo). 
Tra l'altro la linea pomeriale (il confine della città di Roma) coinciderà con la spina del Circo Massimo, tracciata assialmente tra l'ara Consi (altare ipogeo nella valle Murcia) e l'ara Herculis (situata nel foro Boario), i due degli angoli del pomerio. 
I resti della spina sono stati ritrovati a 5m di profondità rispetto all'attuale piano.

All'epoca di Romolo la valle Murcia probabilmente poteva essere utilizzata soltanto in estate finché, successivamente, l'area venne bonificata.
La palude era dedicata al culto di Murcia, dea del matrimonio, simbolicamente rappresentata dal mirto, pianta preposta alle nozze. 
All'interno di questa valle si trovava l'ara sotterranea dedicata a 
Conso, divinità celebrata per propiziare l'abbondanza del raccolto. Il Dio Conso era figlio della Dea Natura e sparì nell'Ade per poi riemergere (simbolicamente moriva in autunno e resuscitava in primavera), per questo la sua ara era sotterranea.
Il culto del Dio Conso era antecedente alla fondazione di Roma e risaliva ai tempi di Albalonga XII sec. a.C.. Romolo riprese la tradizione dei suoi avi, la divinità veniva celebrata in due momenti, il 21 agosto la festa era dedicata alla mietitura, il 15 dicembre la festa aveva un significato propiziatorio.
Durante il rituale avveniva la riscoperta dell'ara asportandone la terra che usualmente la sigillava.
Secondo Dionigi di Alicarnasso, il Dio Conso in alcune zone veniva identificato nel dio Nettuno protettore degli equini. L'evento principale delle Consualia pertanto erano le competizioni ippiche.
E' nella valle Murcia che Romolo organizza una Consualia dove invita le popolazioni vicine, in particolare quella dei Sabini che occupavano il Colle Quirinale.
In questa occasione avvenne il Ratto delle Sabine, il rapimento delle donne vergini con cui Romolo voleva aumentare il numero della popolazione romana.  Lo stesso Romolo prese in moglie una sabina di nome Ersilia. Come conseguenza del ratto vi furono delle guerre con i popoli vicini che i Romani vinsero, a parte quella con i Sabini dove le donne dovettero scendere in prima linea per fermare l'avanzata dei Sabini,  invocando la pace a mariti (romani), a padri e fratelli (sabini).
Si decise quindi di unire i due regni stipulando un patto sulla via Sacra, intorno al sacello di Venere Cloacina del Foro
Per venire incontro ai Sabini, i romani da quel momento presero il nome di quiriti, dalla città di Cures da cui proveniva Tito Tazio, re dei Sabini, in cambio la città continuò a chiamarsi Roma.
Non è un caso che il ratto delle Sabine avvenne proprio nella valle Murcia, valle la cui Dea propiziava le unioni.
Da questo episodio nascono due tradizioni: in cui una lo sposo prende in braccio la moglie a ricordo del rapimento e nell'altra gli invitati gridano "Talasius" durante le feste dei matrimoni.
«Si racconta che una di esse, molto più carina di tutte le altre, fu rapita dal gruppo di un certo Talasio e, poiché in molti cercavano di sapere a chi mai la stessero portando, gridarono più volte che la portavano a Talasio perché nessuno le mettesse le mani addosso. Da quell'episodio deriva il nostro grido nuziale.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. I, capoverso 9) 
L'ara Consi e le costruzioni sotterranee limitrofe furono una sorta di silos per la conservazione dei beni alimentari della comunità in particolare del grano e del farro.

IL CIRCO MASSIMO
L'area del futuro circo sembra connotarsi quindi a vocazione emporica e ludico-religiosa.
La posizione del Circo Massimo potrebbe essere in relazione con la disposizione del tempio ipogeo dell'Ara Consi.

Le prime costruzioni del Circo si possono datare all'epoca di Tarquinio Prisco (V Re di Roma 616-579 a.C.). Per assistere alle gare equestri si allestirono file di sedili lignei, chiamati "fori publici", inoltre creò trenta zone, una per ogni curia.

Il Circo Massimo prende il nome da Circe che avrebbe offerto il primo spettacolo al padre Sole (Circo) e Maximo in quanto il più grande e magnifico degli altri edifici similari.
Il Circo Massimo era consacrato principalmente al Sole (che muore al tramonto e scende a fecondare la terra e all'alba risorge, così come il Dio Conso moriva in autunno e resuscitava a primavera).
Le quadrighe (carri trainati da quatto cavalli) erano sacre al Sole, come le bighe alla Luna.
Seguendo le orme dei greci e degli etruschi, la celebrazione dei morti era legata alla competizione ippica e l'agone doveva rievocare la scomparsa e la divinizzazione di Romolo, per un felice raccolto e la continuità del regno. La fondazione di un ippodromo avviene sempre in relazione alla posizione di una tomba depositaria di un culto ctonio (sotterraneo).
Inoltre le divinità solari erano legate soprattutto ai cavalli bianchi, questo colore rappresenta la luce diurna del Sole. 
Come riporta Tertulliano all'inizio le fazioni in gara erano soltanto due, la bianca e la rossa (il rosso indicava sia l'alba che il tramonto).
Sembra credibile che la gara delle quadrighe rappresentava inizialmente lo scorrere del tempo, il bianco rappresentava la luce del sole durante il giorno, il rosso rappresentava la discesa del Sole al suo viaggio notturno.
Le uova (blocchi tondi di pietra) presenti nel Circo rappresentavano i contagiri (bianco dell'albume e rosso del tuorlo).
La corsa veniva concepita altresì come un continuo percorso fuori/dentro rispetto alla spina che rappresentava il pomerium. Riproduceva il moto del Sole nelle continue e perenni ascese al cielo (tratto urbano) e discese nell'aldilà (tratto extraurbano, oltre il pomerio) dopo aver toccato e fecondato la terra.
La corsa delle quadrighe nel Circo Massimo divenne quindi un rituale propiziatorio affinché il Sole sorgesse ogni giorno e garantisse la nascita delle messi, la celebrazione delle nozze, il concepimento di nuovi individui e di conseguenza la continuità del gruppo.

Il popolo amava le corse facendo un vero e proprio tifo da stadio, naturalmente erano anche occasioni per scommettere e momenti in cui si potevano svolgere incontri clandestini amorosi sfruttando il fragore del pubblico.

Oltre le quadrighe potevano disputarsi corse di bighe e trighe anche con più cavalli. Il cerimoniale prevedeva una processione che faceva il giro intorno alla spiga, poi seguivano sacrifici in onore delle divinità. L'inizio delle gare era annunciato da chi presiedeva i giochi che aveva il compito di far cadere un drappo bianco dall'alto della tribuna dentro l'arena per la partenza. 
La disposizione delle squadre complete di assistenti veniva decisa a sorte. Solitamente erano quattro: bianca, rossa, blu e verde.
L'auriga teneva le redini intorno alla cinta ed era dotato di un coltello per tagliarle in caso di difficoltà. Egli aveva il compito difficile di sporgersi in avanti per eccitare i cavalli e di tirarsi indietro per frenarli.
Il cavallo aveva sul collo una reticella colorata per individuare la squadra così come l'auriga aveva la tunica dello stesso colore.
L'auriga generalmente era uno schiavo e la vittoria era riconosciuta con due premi, la corona di alloro e del denaro, così come il gladiatore poteva comprarsi la libertà.

Nel 326 a.C. furono costruite in legno le gabbie di partenza dei carri (carceres) e venne creata la spina centrale, canalizzando il corso d’acqua che attraversava la valle verso il Tevere a Nord.

Nel 174 a.C Livio menziona per la prima volta gli ova e le metae (i grandi segnacoli intorno ai quali giravano i carri) insieme alla ricostruzione in muratura dei carceres.
I dodici carceres,  (struttura di partenza sul lato corto rettilineo verso il Tevere) erano disposti obliquamente per permettere l'allineamento alla partenza e dotati di un meccanismo che ne permetteva l'apertura simultanea.

Nel circo di età imperiale si ritrova un tempio dedicato al Sole sul versante del lato Aventino, sulle cui scalinate si posiziona il Tribunale dei giudici di gara, mentre di fronte, sul versante del colle Palatino, acquista forme monumentali il Pulvinar, una struttura a forma di tempio destinato ad ospitare le statue delle divinità che assistevano ai giochi portate in processione prima delle manifestazioni e adibito anche ad ospitare i membri della famiglia imperiale.  
Domiziano fece costruire un secondo arco in onore di Tito nell'81. Questo era ampio 17 m, profondo 15 ed era a tre fornici con quattro colonne alte 10 m . Sull'attico vi era una quadriga bronzea, sul fronte aveva una platea e una scalinata. Il lungo corteo trionfale, dopo aver sfilato lungo il Circo Massimo e avere raccolto l'ovazione della folla, passava al di sotto dell'arco e proseguiva il suo cammino diretto al tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio.
Nel 2015 durante i nuovi scavi che hanno portato alla scoperta dell'Arco di Tito sono state ritrovate anche parte della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all'Imperatore.

Imponenti lavori edilizi si devono poi a Cesare a cui si devono i primi sedili in muratura e la forma definitiva a partire dal 46 a.C.

Un incendio nel 31 a.C. distrusse la struttura in legno. 
L'Imperatore Augusto lo fece ricostruire aggiungendo un palco imperiale sul Palatino e un grande obelisco di Ramses II alto fino a 23 m, proveniente da Eliopoli, che fu collocato sulla spina come decorazione (fatto spostare a Piazza del Popolo da Sisto V nel 1587).

Obelisco Piazza del Popolo

Il primo grande ampliamento della capienza si deve però a Nerone, che a seguito del grande incendio di Roma del 64 d.C., ne promosse lo sviluppo fino alla capienza di 250.000 persone. 

Un secondo incendio portò l’imperatore Traiano ad un ennesimo intervento edilizio nel 103 d.C., che modificò il tratto della curva nella forma tuttora esistente.  Grazie alla scoperta del calcestruzzo riuscì a edificare in breve tempo i tre piani del Circo Massimo, scongiurando il pericolo di altri incendi. A quest'epoca risalgono la maggior parte dei resti conservatisi sino ad oggi. Traiano fece in modo che la capienza raggiungesse un quarto dell'intera popolazione romana dell'epoca!

Nel 387 d.C. un altro obelisco alto 32 m, relativo a Thutmosis III e proveniente dalla città di Tebe in Egitto è stato aggiunto  dall'Imperatore Costanzo, nel IV secolo ( fatto spostare anch'esso da Sisto V nel 1587 a Piazza San Giovanni ). 

Obelisco Piazza San Giovanni


Il Circo Massimo è probabilmente il monumento antico più grande,
il più grande stadio di tutti i tempi! 
Le sue dimensioni erano enormi 600 x 140 metri, la facciata esterna aveva tre ordini, soltanto quello inferiore era ad arcate. La cavea poggiava su strutture in muratura che ospitavano i passaggi e le scale per raggiungere i diversi settori dei sedili, ambienti di servizio interni e botteghe verso l'esterno. Nell'arena vi si svolgevano le corse dei carri intorno alla spina  (riccamente decorata da statue, edicole, tempietti, sette uova e sette delfini da cui sgorgava l'acqua, utilizzati come contagiri) tra le due mete (due elementi semicircolari). 
Intorno alla spina correva un canale, detto euripus, dal quale gli addetti potevano attingere acqua per annaffiare i mozzi arroventati dei carri.

Le parti del Circo erano cariche di significati simbolici: le porte dei carceres erano 12 come i segni zodiacali e i mesi dell'anno, i quattro colori delle squadre erano in relazione alle stagioni, le Mete rappresentavano i confini dell'oriente e dell'occidente, i giri della corsa erano sette come i pianeti ed i giorni della settimana ed al sole, l'auriga celeste, erano dedicati anche i due grandi obelischi egizi. 

Le due gallerie interne superstiti, al piano terra ed al primo piano, distribuivano il flusso del pubblico diretto verso le gradinate (ima e media cavea). 


Galleria al primo piano

La parte superiore dell‟edificio non è nota, ma a causa della fragilità di alcune strutture portanti possiamo ipotizzare un largo impiego di costruzioni in legno in molte sue parti.  E' proprio questo il settore del circo da cui la notte del 18 luglio del 64, durante il principato di Nerone, si sviluppò il disastroso incendio che distrusse gran parte di Roma, come ci racconta lo storico Tacito.

Il Circo Massimo ospitava i Ludi Romani in onore a Giove e occasionalmente era utilizzato per processioni, combattimenti di gladiatori (spettacolare quello organizzato da Pompeo tra un gruppo di gladiatori e 20 elefanti), cacce di animali selvatici, esecuzioni pubbliche, competizioni sportive, naumachie.

Le corse dei carri vi si sono svolte per quasi un millennio e fino al 549 d.C. quando si tenne l’ultima corsa.

Nel XII secolo, il fornice viene occupato dal canale dell'Acqua Mariana, e poco oltre si costruisce la Torre della Moletta.

La maggior parte della struttura è stata utlizzata per realizzare costruzioni medievali e rinascimentali.


IL CIRCO MASSIMO OGGI
Oggi si può accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea. Nelle gallerie si possono osservare i resti delle latrine. Vi è anche una strada basolata (antico perimetro del Circo) dove si trova una grande vasca abbeveratoio in lastre di travertino.

Tabernae e abbeveratoio

Si possono visitare anche le tabernae: locande, negozi per la vendita di alimenti, magazzini, lupanari, lavanderie e uffici di cambiavalute per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.


L'intervento di riqualificazione dell'area del 2015 ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII sec per difendere un mulino per la lavorazione dei prodotti agricoli)
Tra le storie della Torre, divenuta proprietà dei Frangipane, c'è anche quella di aver ospitato San Francesco di Assisi.

Torre della Moletta

Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull'area archeologica!

Ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), 

Elementi edificio antico

mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.


Veduta dal versante Tevere

Veduta dal versante Tevere



Centro della spina

Emiciclo versante Arco di Tito

Tabernae








mercoledì 6 maggio 2020

TEATRO DI MARCELLO



Teatro di Marcello

Durante l’epoca repubblicana i censori impedirono la costruzione di teatri stabili poiché la severità del costume romano vedeva negli spettacoli un pericolo per la moralità dei cittadini. Erano permessi soltanto teatri temporanei di legno. Solamente sul finire della repubblica Pompeo riuscì a costruire il primo teatro stabile in pietra. Seguirono, alcuni decenni dopo, quello di Balbo e quello di Marcello: il solo che oggi rimane visibile tra il Campidoglio e il Tevere.

Dopo la fine della repubblica, il popolo, che andava al teatro, assisteva raramente ad opere di alto livello (erano cadute in disuso le commedie di Plauto e di Terenzio e la produzione di Seneca poteva interessare solo un ristretto pubblico di lettori raffinati). Si rappresentavano soprattutto, pantomime e operette composte di un miscuglio di tragico e comico, poesia e musica. Anche se talune composizioni raggiungevano un livello artistico notevole, la maggior parte presentava argomenti avventurosi e galanti per incontrare il facile gusto del pubblico.

Il progetto fu iniziato da Giulio Cesare, il quale espropriò per largo tratto la zona, demolendo gli edifici esistenti. Fu ripreso da Augusto, con nuovi espropri per ampliare la superficie ed erigere un edificio più grande.

Il primo utilizzo del nuovo teatro risale all’anno 17 a.C., durante i ludi saeculares. Nel 13 a.C. l’inaugurazione ufficiale del nuovo edificio, vide la celebrazione di giochi sontuosi e la dedica a Marco Claudio Marcello, figlio della sorella di Augusto, Ottavia, che a soli tredici anni partecipò al trionfo per la battaglia di Azio (29 a.C.) e poi a quello per la vittoria sui Cantabri (27 a.C.). Fu proprio Augusto, privo di figli maschi, a decidere di adottare il ragazzo, a designarlo come suo erede e ad unirlo in matrimonio con sua figlia Giulia, favorendo in poco tempo la sua nomina a edile (23 a.C.) e a pontefice, accelerando così il suo cursus honorum per la designazione alla successione imperiale. Nello stesso anno, però, Marcello si ammalò improvvisamente, morendo poi a Baia, colpito, secondo alcuni, da una congiura di palazzo ordita da Livia, la seconda moglie di Augusto, per favorire suo figlio Tiberio alla successione.

Profondamente addolorato da quella morte prematura, Augusto fece seppellire il nipote nel mausoleo fatto costruire per sé a Campo Marzio e nell’11 a.C. ne promosse il culto in tutte le città dell’Impero innalzando molte statue onorarie, ma, soprattutto gli intitolò il teatro adiacente il Tevere. Un edificio che fisserà lo schema del teatro classico romano in cui la cavea poggia su strutture in muratura e non su un declivio naturale, come nel teatro greco.

La scelta del luogo per la costruzione del Teatro fu dettata dalla vicinanza del Tempio di Apollo in onore del quale, già in età repubblicana, si svolgevano i Ludi Apollinari. Il tempio stesso sorge a pochi metri dal Teatro, ne rimangono il basamento e tre colonne. Le sculture architettoniche di questo tempio costituiscono l’esempio più bello dell’arte decorativa augustea per l’eleganza e la novità delle forme e la perfetta lavorazione.

II tempio non è più quello originario fondato nel 431 a.C., quando per la prima volta fu introdotto in Roma il culto di questa divinità salutare (Apollo medicus) per voto fatto durante una grave pestilenza, si tratta invece di una ricostruzione eseguita durante il regno di Augusto da Lucio Sosio, un personaggio che ancor più che al trionfo, da lui celebrato nel 34 a.C., ha legato il suo nome a questo tempio.



Museo Centrale Montemartini - Frontone Tempio Apollo

Nel 64 d.C. nell'incendio scoppiato tra il 18 e il 19 luglio il teatro Marcello subisce gravi danni. La scena e le altre parti rovinate vengono ricostruite e restaurate da Vespasiano che inaugura nuovamente il teatro con feste e giochi.

I romani stessi cominciarono la distruzione del Teatro di Marcello già nel 370 d.C. sotto l'impero di Graziano, smontandone alcuni blocchi per restaurare il vecchio ponte Cestio, nonostante ciò gli spettacoli proseguirono fino alla metà del V secolo. Successivamente, i saccheggi e gli incendi delle orde barbare distrussero quanto di deperibile era ancora presente, poi le inondazioni del Tevere riempirono di melma i resti del teatro.

La distruzione continuò fino al XII secolo quando nobili famiglie romane si fortificarono sui resti del teatro nei conflitti fra loro, i Papi e gli Imperatori. Nel XIII secolo, i Fabi edificarono sulle rovine del teatro un palazzo. Nel 1304 i Pierleoni innalzano sui resti del teatro una fortificazione. Nel 1368 Luca Savelli acquisisce i ruderi del teatro con le strutture create dai Pierleoni. Nel '500, Baldassarre Peruzzi eresse il palazzo tuttora esistente per conto dei Savelli, acquistato due secoli dopo dagli Orsini.

La parte inferiore, corrispondente alle strutture romane, fu acquisita negli anni '30 dal Comune di Roma, scavata e restaurata dopo aver proceduto ad operazioni di espropri e lavori di eliminazione delle numerose botteghe e abitazioni che occupavano lo spazio circostante.

ll Teatro di Marcello era una grandiosa costruzione dal diametro di 130 m, in cui era realizzato in forma compiuta il teatro di tipo romano. La cavea, di forma semicircolare, era su sostruzioni in blocchi di tufo, in opera reticolata e in laterizio, sulla quale si appoggiavano le gradinate in marmo bianco.

Come il Colosseo, costruito ottantatré anni dopo, anche il teatro di Marcello era dotato di un velario per ripararsi dal sole, mentre 36 vasi bronzei sistemati ad hoc ne facilitavano ed amplificavano l’acustica.

La facciata esterna della cavea, in travertino, era costituita originariamente da quarantuno arcate e dei tre piani che la costituivano sono conservati parte del primo e del secondo, di ordine ionico e dorico, mentre del terzo furono viste solamente poche tracce, si legge in “Theatrum Marcelli”, il volume dedicato al celebre edificio che è stato pubblicato dall’Istituto Nazionale di Studi Romani, una onlus che affronta la conoscenza di Roma in tutti i suoi aspetti e in ogni tempo della sua storia millenaria, dall’antico ai nostri giorni. A scriverlo, Paola Ciancio Rossetto e Giuseppina Pisani Sartorio che dopo lunghe ricerche, sono riuscite a realizzare il volume più esaustivo su quell’edificio e su quel particolare periodo storico.

Le chiavi d'arco dei piani inferiori erano decorate da maschere teatrali colossali in marmo, relative a tragedia, commedia e dramma satiresco.

Nel foyer del Teatro Argentina sono attualmente esposte le maschere marmoree, raffiguranti i tipi della tragedia e quelli della commedia nuova, provenienti dalla decorazione degli archi del Teatro di Marcello.


Foyer Teatro Argentina

Maschera Teatro di Marcello

La scena, di modesta profondità, con prospetto probabilmente rettilineo, decorata da colonne e statue di marmi bianchi e colorati, era fiancheggiata dalle due aule o parasceni a triplice navata e completata alle spalle da una grande abside eretta contro le eventuali inondazioni del Tevere. Aveva una capienza calcolata in 15.000 posti, 20.000 in caso di necessità.

In seguito a un intervento di rinnovamento dell’area, ha riaperto al pubblico, con accesso gratuito, il passaggio che mette in collegamento via Montanara - ciò che rimane dell’omonima piazza ai piedi della Rupe Tarpea, demolita negli anni Trenta - con il Portico d’Ottavia e il Ghetto.




Teatro Marcello - Capitolivm.it