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venerdì 8 maggio 2020

NERONE, INCENDIO DI ROMA, DOMUS AUREA



Ricostruzione Domus Aurea

Vorrei spiegare il particolare inizio di questa lettura.😅
Tenendo in considerazione le teorie psicoanalitiche, emerse durante la stesura della storia, ho pensato di non condannare Nerone, non essendo presente ai suoi tempi, per fortuna, ma di concedergli un'attenuante per la sua particolare personalità. Una sorta di riabilitazione per un folle sognatore.
Ma addentriamoci subito nella storia... 
C'era una volta...
Agrippina Minore, madre di Nerone, poteva vantare, come nessun altra, le sue origini Imperiali. 
Sua nonna Giulia era la figlia di Augusto (Imperatore) e di Marco Vipsanio Agrippa, suo fratello era Caligola (altro Imperatore). Fu sposa di Lucio Tiberio Enobarbo, padre di Nerone, e alla sua morte sposa dello zio Claudio (altro Imperatore).



Albero Genealogico di Nerone

Agrippina riuscì ad ottenere da Claudio la revoca dell'esilio di Seneca, allo scopo di insignirlo come precettore di Nerone. 
Nerone visse per un periodo con la zia Domizia Lepida, dalla quale avrebbe imparato l'amore per lo spettacolo e per la danza (il periodo in cui Agrippina era in esilio a causa della congiura contro Caligola). Fu costretto, suo malgrado, a testimoniare contro di lei a causa della gelosia della madre, la quale fece condannare a morte la sorella dall'Imperatore Claudio. Egli fu inoltre obbligato a fidanzarsi con Ottavia, figlia di Claudio, ancor giovane.
In questo modo Agrippina era riuscita a indirizzare Nerone verso la successione dell'Impero.
Infatti fu adottato ufficialmente da Claudio, il quale morì nel 54 a causa di un avvelenamento da funghi (probabilmente orchestrato da Agrippina).
Nerone così diventa Imperatore a soli 17 anni, sotto la tutela di Agrippina, la quale voleva che egli regnasse ma non che governasse, e del filosofo Seneca, il quale cerca di indirizzarlo sulla via della clemenza.
Due adulti sicuramente ingombranti che gli propongono modelli contrastanti, Da questo tutorato morale, culturale e politico, Nerone ne uscirà molto provato. Certamente si deve anche a questo il fatto che egli sarebbe rimasto per sempre un adolescente nevrotico, turbato e nevrastenico.
Il primo quinquennio del regno di Nerone viene considerato "buono" in quanto si mostra, come Principe clemente, verso i senatori. Successivamente Nerone si libera di questa tutela e comincia a governare a modo suo. Uccide dapprima la madre Agrippina (una sorta di legittima difesa per evitare di essere ucciso a sua volta) e successivamente la moglie Ottavia, il prototipo della brava ragazza e della buona matrona romana che Nerone odia perchè è molto lontana da lui e gli è stata imposta come fidanzata da ragazzo. La carriera criminale di Nerone si intreccia con quella smagliante di poeta e cantante. Si presenta al popolo come un poeta che porta agli uomini, suonando la cetra, il gusto dell’arte e le consolazioni della bella musica. Un nuovo modo di fare politica a cui gli ambienti tradizionalisti non sono preparati ma che il popolo capisce subito.
La città di Roma all’epoca aveva circa un milione di abitanti, concentrati in una zona che oggi ne conta trecentomila. Una cifra enorme considerando che la maggior parte delle città dell’Impero ne avevano da mille a cinquemila. Una città chiassosa e disordinata, cresciuta in fretta perchè c’erano stati ingenti ondate di immigrazione. Esistevano delle regole edilizie che aveva voluto Augusto. Egli stabilì che gli edifici non superassero i 4 o 5 piani, ma anche all’epoca si aggiravano le norme, quindi molti edifici vennero costruiti in legno, con materiali scadenti, e spesso crollavano o bruciavano. Bruciavano perchè all’epoca si utilizzavano lampade ad olio e non c’era acqua corrente. Augusto aveva anche organizzato un corpo dei Vigili del Fuoco, però i mezzi tecnici che avevano all’epoca, permettevano appena di distruggere l’area intorno alle case per evitare che l’incendio propagasse, ma non avevano le possibilità tecniche significative per estinguere il fuoco.

Questa era la situazione al 18 luglio dell'anno 64, giorno in cui scoppiò il devastante incendio:
Descrizione di Tacito 
L’incendio iniziò dal Circo Massimo per estendersi verso i colli Palatino e Celio, dove le botteghe piene di merci infiammabili, subito divampò, alimentato dal vento. Non c'erano palazzi con recinti e protezioni o templi circondati da muri o altro che facesse da ostacolo. L'incendio invase, con tutta la sua furia, dapprima il piano, poi risalì sulle alture per scendere ancora verso il basso, superando, nella devastazione, qualsiasi soccorso, per la fulmineità del flagello e perché vi si prestavano la città e i vicoli stretti e tortuosi e l'esistenza di enormi isolati, di cui era fatta la vecchia Roma. 
Nel racconto di Tacito si fa riferimento anche ad alcune persone che appiccavano apertamente il fuoco, le quali potevano essere sia rapinatori che esecutori di un eventuale ordine di Nerone.
Nerone, che nel frattempo era ad Anzio, tornò alla sua residenza sul Palatino nella Domus Transitoria, soltanto quando seppe che il fuoco si stesse avvicinando. Fece comunque in modo che il popolo rimasto si potesse riparare, e potesse essere rifornito dei beni di prima necessità. 
Questo non bastò a conquistare il popolo in quanto circolò la voce che, mentre Roma era alle fiamme, egli cantò la caduta di Troia raffigurando nell’antica sciagura quella attuale. Dopo il sesto giorno il fuoco sembrò domato, ma divampò di nuovo, e dato che partì dai giardini di proprietà di Tigellino si ebbe la sensazione che Nerone ne approfittò per costruire una nuova città. Di quattordici quartieri ne rimasero quattro. Bruciarono: il Tempio di Servio Tullio dedicato alla Luna, la grande ara e il tempietto consacrato ad Ercole, il tempio votato a Giove Statore da Romolo, la reggia di Numa e il Tempio di Vesta con tutte le divinità del popolo romano, poi, tutte le ricchezze accumulate con tante vittorie, capolavori dell'arte greca e i testi antichi e originali dei grandi nomi della letteratura.


Incendio di Roma
RAI Storia - Incendio di Roma


Nerone, quindi, ne approfittò per costruirsi un palazzo dove destassero meraviglia le pietre preziose, l’oro e soprattutto prati, laghetti, boschi, distese apriche e vedute panoramiche, il tutto opera di due architetti, Severo e Celere, che avevano avuto l'audacia intellettuale di
creare con l'artificio ciò che la natura aveva negato, sperperando le risorse del principe.  Sulle aree della città che restavano libere dopo la costruzione della Domus Aurea, si costruì la nuova città aumentando l’ampiezza delle strade, ponendo nuovi limiti all’altezza degli edifici con cortili e portici per proteggere le facciate degli isolati. Incentivò la ricostruzione aumentando le disponibilità economiche di ciascuno e l’utilizzo di pietre provenienti da Gabi o Albano perchè refrattarie al fuoco. Dispose anche l’utilizzo pubblico dell’acqua e che gli edifici non avessero pareti in comune. Destinò le macerie ad Ostia tramite le navi che risalivano il Tevere facendole tornare cariche di frumento. Tuttò ciò, però, non bastò a deviare i sospetti su di lui, perciò fece ricadere la colpa sui cristiani e iniziarono le persecuzioni.

DOMUS AUREA
L’imperatore Nerone dopo il devastante incendio del 64 d.C., che distrusse gran parte di Roma, iniziò la costruzione di una nuova residenza, la  Domus Aurea.
Progettata dagli architetti Severus e Celer e decorata dal pittore Fabullus, la reggia era costituita da una serie di edifici separati da giardini, boschi e vigne e da un lago artificiale, situato nella valle dove oggi sorge il Colosseo. I nuclei principali del palazzo si trovavano sul Palatino e sul colle Oppio ed erano celebri per la sontuosa decorazione in cui a stucchi, pitture e marmi colorati si aggiungevano rivestimenti in oro e pietre preziose. L’enorme complesso comprendeva, tra l’altro, bagni con acqua normale e sulfurea, diverse sale per banchetti, tra cui la famosa coenatio rotunda, che ruotava su se stessa, e un enorme vestibolo che ospitava la statua colossale dell’imperatore nelle vesti del dio Sole.
Dopo la morte di Nerone i suoi successori vollero cancellare ogni traccia venne riempita di terra fino alle volte per essere utilizzata come sostruzione per altri edifici.
Le parti oggi visitabili sono quelle sul colle Oppio: ambienti probabilmente destinati a feste e banchetti che furono interrati rimanendo sconosciuti sino al Rinascimento. Solo allora, dopo alcuni ritrovamenti fortuiti, artisti appassionati di antichità come Pinturicchio, Ghirlandaio, Raffaello e Giulio Romano iniziarono a calarsi dall’alto in quelle “grotte sotterranee”, per copiare i motivi decorativi che esse conservavano e che, proprio dalla loro collocazione, presero il nome di “grottesche”. Ancor oggi il termine di “pittura a grottesche” è utilizzato per indicare un genere, diffuso soprattutto nel XVI secolo, che riprende, rielaborandoli e reinterpretandoli in maniera ludica e fantasiosa, i motivi della decorazione parietale romana.

Interessante è la descrizione della Domus Aurea che Svetonio ci tramanda nelle “Vite dei Cesari” (“De vita duodecim caesarum”); lui che fu così caustico nel giudicare Nerone, al punto da determinare i luoghi comuni con cui viene ricordato, sembra comunque inchinarsi davanti alla magnificenza creativa dell’opera.
“Però non vi fu nulla in cui sia stato tanto prodigo quanto nell'edificare.
Fatta costruire per sé una casa che dal Palatino andava fino all'Esquilino, dapprima la chiamò «transitoria», poi, quando un incendio la distrusse, la fece ricostruire e la chiamò «aurea».
Per dare un'idea della estensione e dalla sua magnificenza, basterà ricordare i seguenti dati. C'era un vestibolo in cui era stato eretto un colosso a sua sembianza, alto centoventi piedi. Era tanto vasta, che nel proprio interno aveva dei porticati a triplo ordine di colonne, per la lunghezza di mille passi, e uno stagno che sembrava un mare, circondato da edifici che formavano come delle città.
Per di più, nell'interno vi erano campagne ricche di campi, vigneti, pascoli e boschi, con moltissimi animali domestici e selvatici di ogni specie. Nel resto della costruzione, ogni cosa era ricoperta d'oro e abbellita con gemme e madreperla.
Il soffitto dei saloni per i banchetti era a tasselli di avorio mobili e perforati, in modo da poter spargere fiori e profumi sui convitati. Il principale di questi saloni era rotondo e girava su se stesso tutto il giorno, continuamente, come la terra.
Nelle sale da bagno scorrevano acque marine e acque di Albula, e quando alla fine dei lavori, Nerone inaugurò un palazzo di tal fatta, lo approvò soltanto con queste parole: «Finalmente comincerò ad abitare come un uomo!»”.


Ingresso con realtà virtuale - Coopculture.it

Documentario Domus Aurea


Domus Aurea - Interni

Domus Aurea - Esterni


giovedì 7 maggio 2020

TERME DI AGRIPPA

Plastico Terme di Agrippa


Pianta di Roma all'epoca di Agrippa

Marco Vipsanio Agrippa, edile del tempo, bonificò tutta la zona meridionale del Campo Marzio (posteriore al Pantheon), compresa la direzione del Tevere. Su questa area sorsero le Terme. La costruzione ebbe inizio intorno al 25 a.C. per terminare nel 19 a.C., esse vennero alimentate dall'acquedotto dell'Acqua Vergine (oggi utilizzato per la Fontana di Trevi).
Le Terme inaugurate il 12 a.C. furono inizialmente private e gestite da Agrippa, alla sua morte, vennero lasciate in eredità al popolo romano, quindi divennero pubbliche.
Il complesso termale, oggi quasi interamente scomparso, fu antesignano delle Terme Imperiali. Si presentava come un edificio composto da una grande sala circolare coperta da una cupola attorno alla quale si articolavano ulteriori ambienti. La pianta dell’edificio, che misurava circa 100m di larghezza e 120 di lunghezza, ci è nota da un frammento della Forma Urbis 

Forma Urbis severiana

e dagli studi realizzati in età rinascimentale dall’architetto Andrea Palladio.
Inserita nel tessuto urbanistico dell'area, includeva lo Stagnum (compreso tra le attuali Corso Vittorio Emanuele e via de' Nari) e l'antico Palus Caprae (la zona bonificata da Agrippa) alimentato dell'Acqua Virgo, che aveva la funzione di piscina delle Terme.
Da esso partiva un canale, l'Euripo, che attraversava la pianura del Campo Marzio per arrivare al Tevere nei pressi del Ponte Vittorio Emanuele.
Furono ristrutturate, assieme al Pantheon, dopo l'incendio dell'80 da parte di Adriano. Altri restauri si ebbero in età severiana sotto Massenzio.
Funzionanti fino al V secolo, furono poi abbandonate intorno al VII secolo.
Le strutture vennero smantellate (per tutta l’epoca medievale) per riutilizzarne i materiali edilizi nelle nuove costruzioni realizzate nella zona del Campo Marzio.

Arco della Ciambella

Oggi, la muratura visibile dell' Arco della Ciambella (situato nell'anonima via che ha tagliato in due grande Sala Rotonda che in origine misurava 25 metri di diametro e 10 metri di altezza) è solo una parte della metà della sala, inglobata all'interno degli edifici dentro cui è rimasta anche l'esedra orientale, ampia 17m, che la affiancava. I resti dell'aula circolare si possono ammirare sopra un'edicola sacra, fra i numeri 9-10, 14-15 della stessa via. La Sala aveva una volta a cupola con un oculus al centro, tipo il Pantheon. Fino al Seicento la sala circolare era pressoché intera ed infatti veniva popolarmente chiamata lo Rotulo o lo Tondo, da cui si fa derivare la definizione di “ciambella”. L’arco venne abbattuto nel 1621 nel corso degli interventi di sistemazione urbanistica eseguiti per volontà di papa Gregorio XV.


L'arco in un cortile del Pontificio Seminario



Bolli laterizi dei vari restauri antichi

Tra le statue che componevano la ricca decorazione delle Terme vi era l’Apoxyomenos.
La statua bronzea, realizzata dallo scultore greco Lisippo e databile tra il 330 ed il 320 a.C. , rappresenta un atleta intento a detergersi il corpo con lo strigile, strumento di metallo ricurvo e con un manico usato soprattutto dagli atleti.
Rappresenta una novità in quanto il movimento delle braccia rompe la tradizione greca della staticità delle statue a tutto tondo.

Apoxyomenos di Lisippo

Oggi dell’Apoxyomenos rimane solo una copia in marmo (risalente al I secolo d.C.) rinvenuta alla metà dell’800 nel quartiere di Trastevere ed ora conservata ai Musei Vaticani.
Si racconta che Tiberio impossessatosi della statua in bronzo fu costretto a ricollocarla al proprio posto per il reclamo da parte del popolo romano.
All'interno delle terme vi erano ricche di decorazioni, pitture, mosaici e sculture, tra le altre vi è il Pignone esposto nei giardini dei Musei Vaticani.
Pignone





mercoledì 6 maggio 2020

TEATRO DI MARCELLO



Teatro di Marcello

Durante l’epoca repubblicana i censori impedirono la costruzione di teatri stabili poiché la severità del costume romano vedeva negli spettacoli un pericolo per la moralità dei cittadini. Erano permessi soltanto teatri temporanei di legno. Solamente sul finire della repubblica Pompeo riuscì a costruire il primo teatro stabile in pietra. Seguirono, alcuni decenni dopo, quello di Balbo e quello di Marcello: il solo che oggi rimane visibile tra il Campidoglio e il Tevere.

Dopo la fine della repubblica, il popolo, che andava al teatro, assisteva raramente ad opere di alto livello (erano cadute in disuso le commedie di Plauto e di Terenzio e la produzione di Seneca poteva interessare solo un ristretto pubblico di lettori raffinati). Si rappresentavano soprattutto, pantomime e operette composte di un miscuglio di tragico e comico, poesia e musica. Anche se talune composizioni raggiungevano un livello artistico notevole, la maggior parte presentava argomenti avventurosi e galanti per incontrare il facile gusto del pubblico.

Il progetto fu iniziato da Giulio Cesare, il quale espropriò per largo tratto la zona, demolendo gli edifici esistenti. Fu ripreso da Augusto, con nuovi espropri per ampliare la superficie ed erigere un edificio più grande.

Il primo utilizzo del nuovo teatro risale all’anno 17 a.C., durante i ludi saeculares. Nel 13 a.C. l’inaugurazione ufficiale del nuovo edificio, vide la celebrazione di giochi sontuosi e la dedica a Marco Claudio Marcello, figlio della sorella di Augusto, Ottavia, che a soli tredici anni partecipò al trionfo per la battaglia di Azio (29 a.C.) e poi a quello per la vittoria sui Cantabri (27 a.C.). Fu proprio Augusto, privo di figli maschi, a decidere di adottare il ragazzo, a designarlo come suo erede e ad unirlo in matrimonio con sua figlia Giulia, favorendo in poco tempo la sua nomina a edile (23 a.C.) e a pontefice, accelerando così il suo cursus honorum per la designazione alla successione imperiale. Nello stesso anno, però, Marcello si ammalò improvvisamente, morendo poi a Baia, colpito, secondo alcuni, da una congiura di palazzo ordita da Livia, la seconda moglie di Augusto, per favorire suo figlio Tiberio alla successione.

Profondamente addolorato da quella morte prematura, Augusto fece seppellire il nipote nel mausoleo fatto costruire per sé a Campo Marzio e nell’11 a.C. ne promosse il culto in tutte le città dell’Impero innalzando molte statue onorarie, ma, soprattutto gli intitolò il teatro adiacente il Tevere. Un edificio che fisserà lo schema del teatro classico romano in cui la cavea poggia su strutture in muratura e non su un declivio naturale, come nel teatro greco.

La scelta del luogo per la costruzione del Teatro fu dettata dalla vicinanza del Tempio di Apollo in onore del quale, già in età repubblicana, si svolgevano i Ludi Apollinari. Il tempio stesso sorge a pochi metri dal Teatro, ne rimangono il basamento e tre colonne. Le sculture architettoniche di questo tempio costituiscono l’esempio più bello dell’arte decorativa augustea per l’eleganza e la novità delle forme e la perfetta lavorazione.

II tempio non è più quello originario fondato nel 431 a.C., quando per la prima volta fu introdotto in Roma il culto di questa divinità salutare (Apollo medicus) per voto fatto durante una grave pestilenza, si tratta invece di una ricostruzione eseguita durante il regno di Augusto da Lucio Sosio, un personaggio che ancor più che al trionfo, da lui celebrato nel 34 a.C., ha legato il suo nome a questo tempio.



Museo Centrale Montemartini - Frontone Tempio Apollo

Nel 64 d.C. nell'incendio scoppiato tra il 18 e il 19 luglio il teatro Marcello subisce gravi danni. La scena e le altre parti rovinate vengono ricostruite e restaurate da Vespasiano che inaugura nuovamente il teatro con feste e giochi.

I romani stessi cominciarono la distruzione del Teatro di Marcello già nel 370 d.C. sotto l'impero di Graziano, smontandone alcuni blocchi per restaurare il vecchio ponte Cestio, nonostante ciò gli spettacoli proseguirono fino alla metà del V secolo. Successivamente, i saccheggi e gli incendi delle orde barbare distrussero quanto di deperibile era ancora presente, poi le inondazioni del Tevere riempirono di melma i resti del teatro.

La distruzione continuò fino al XII secolo quando nobili famiglie romane si fortificarono sui resti del teatro nei conflitti fra loro, i Papi e gli Imperatori. Nel XIII secolo, i Fabi edificarono sulle rovine del teatro un palazzo. Nel 1304 i Pierleoni innalzano sui resti del teatro una fortificazione. Nel 1368 Luca Savelli acquisisce i ruderi del teatro con le strutture create dai Pierleoni. Nel '500, Baldassarre Peruzzi eresse il palazzo tuttora esistente per conto dei Savelli, acquistato due secoli dopo dagli Orsini.

La parte inferiore, corrispondente alle strutture romane, fu acquisita negli anni '30 dal Comune di Roma, scavata e restaurata dopo aver proceduto ad operazioni di espropri e lavori di eliminazione delle numerose botteghe e abitazioni che occupavano lo spazio circostante.

ll Teatro di Marcello era una grandiosa costruzione dal diametro di 130 m, in cui era realizzato in forma compiuta il teatro di tipo romano. La cavea, di forma semicircolare, era su sostruzioni in blocchi di tufo, in opera reticolata e in laterizio, sulla quale si appoggiavano le gradinate in marmo bianco.

Come il Colosseo, costruito ottantatré anni dopo, anche il teatro di Marcello era dotato di un velario per ripararsi dal sole, mentre 36 vasi bronzei sistemati ad hoc ne facilitavano ed amplificavano l’acustica.

La facciata esterna della cavea, in travertino, era costituita originariamente da quarantuno arcate e dei tre piani che la costituivano sono conservati parte del primo e del secondo, di ordine ionico e dorico, mentre del terzo furono viste solamente poche tracce, si legge in “Theatrum Marcelli”, il volume dedicato al celebre edificio che è stato pubblicato dall’Istituto Nazionale di Studi Romani, una onlus che affronta la conoscenza di Roma in tutti i suoi aspetti e in ogni tempo della sua storia millenaria, dall’antico ai nostri giorni. A scriverlo, Paola Ciancio Rossetto e Giuseppina Pisani Sartorio che dopo lunghe ricerche, sono riuscite a realizzare il volume più esaustivo su quell’edificio e su quel particolare periodo storico.

Le chiavi d'arco dei piani inferiori erano decorate da maschere teatrali colossali in marmo, relative a tragedia, commedia e dramma satiresco.

Nel foyer del Teatro Argentina sono attualmente esposte le maschere marmoree, raffiguranti i tipi della tragedia e quelli della commedia nuova, provenienti dalla decorazione degli archi del Teatro di Marcello.


Foyer Teatro Argentina

Maschera Teatro di Marcello

La scena, di modesta profondità, con prospetto probabilmente rettilineo, decorata da colonne e statue di marmi bianchi e colorati, era fiancheggiata dalle due aule o parasceni a triplice navata e completata alle spalle da una grande abside eretta contro le eventuali inondazioni del Tevere. Aveva una capienza calcolata in 15.000 posti, 20.000 in caso di necessità.

In seguito a un intervento di rinnovamento dell’area, ha riaperto al pubblico, con accesso gratuito, il passaggio che mette in collegamento via Montanara - ciò che rimane dell’omonima piazza ai piedi della Rupe Tarpea, demolita negli anni Trenta - con il Portico d’Ottavia e il Ghetto.




Teatro Marcello - Capitolivm.it

martedì 5 maggio 2020

PANTHEON

Pantheon
Pantheon

Il primo Pantheon fu fatto costruire durante il terzo consolato, nel 27 a.C., da Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero di Augusto, nel quadro della monumentalizzazione del Campo Marzio, affidandone la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto.

La dedica adrianea, in bronzo, poi razziato, recita: M.AGRIPPA.L.F.COS.TERTIUM.FECIT ("Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò").

Agrippa scelse come luogo il teatro tradizionale dell'apoteosi del fondatore di Roma, Romolo (idolo di Augusto).

Il Pantheon infatti, fu locato, secondo Cesare D'Onofrio, uno dei maggiori romanisti viventi, sul luogo dove, per le narrazioni delle fonti arcaiche, Romolo "ascese" in cielo durante una cerimonia in Campo Marzio, interrotta da un improvviso, violentissimo nubifragio.

Dai resti rinvenuti alla fine del XIX secolo si sa che questo primo tempio era di pianta rettangolare con cella disposta trasversalmente, più larga che lunga, costruito in blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo. L'edificio era rivolto verso sud, in senso opposto alla ricostruzione adrianea, ma il suo asse centrale coincide con quello dell'edificio più recente e la larghezza della cella era uguale al diametro interno della rotonda; l'intera profondità dell'edificio augusteo coincide inoltre con la profondità del pronao adrianeo. Dalle fonti sappiamo che i capitelli erano realizzati in bronzo e che la decorazione (di Diogenes di Atene) comprendeva delle cariatidi e statue frontonali fissate al fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è ipotizzata, anche, la presenza di una grande aquila ad ali spiegate.

Distrutto dal fuoco nell'80, venne restaurato sotto Domiziano, ma subì una seconda distruzione sotto Traiano.

Sotto Adriano l'edificio venne ricostruito completamente come dimostrano i marchi di fabbrica sui mattoni del 123-125 d.C.

Il suo architetto fu probabilmente il grande Apollodoro di Damasco.

Adriano non tenne conto dell’impostazione di Agrippa: rovesciò l'orientamento dell’edificio di 180 gradi e aprì davanti al nuovo tempio una grande piazza porticata.

Il Pantheon di Adriano ha le mura spesse sei metri e venti centimetri, con l'interno armoniosamente scandito da nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari; le pareti sono ancora in gran parte decorate da marmi che venivano da tutte le cave dell'Impero. Il diametro e l'altezza dell'interno sono uguali: misurano 43,30m, pari a cento cinquanta piedi romani: vuol dire che nell'ambiente si potrebbe inscrivere una sfera di quel diametro. Questo calcolo consente di supporre che il tempio esprimesse un simbolismo cosmico e permette l'osservazione di un fenomeno astrologico calendariale: alle 12 del 21 aprile, giorno della fondazione di Roma, il raggio di sole, che attraversa il grande "occhio" della cupola, cade al centro del portale d'accesso.

Questo oculus ha un diametro di 9 m e rimane sempre aperto consentendo l'ingresso della luce ma anche della pioggia. La cupola, del diametro di 43,44 m, è decorata all'interno da cinque ordini di ventotto cassettoni, di misura decrescente verso l'alto, e presenta al centro un oculo di 8,92 m di diametro. L'oculo doveva essere circondato da una cornice bronzea fissata alla cupola che forse raggiungeva la fila più alta di cassettoni. Una curiosità riguardante l'oculo sta nell'"effetto camino": infatti, quando piove, la corrente d'aria ascensionale porta alla frantumazione delle gocce d'acqua, così all'interno sembra che non piova e, inoltre, per evitare pozze d'acqua all'interno, sono stati fatti dei fori sia centrali che laterali per lo scolo dell'acqua.


Il Pantheon, chiuso e abbandonato sotto i primi Imperatori cristiani e successivamente saccheggiato dai barbari, nel 609 d.C. fu donato dall’Imperatore bizantino Foca a Papa Bonifacio IV. 

Pantheon - Piazza della Rotonda

Papa Bonifacio IV consacrò il tempio dedicandolo a Santa Maria ad Martyres, è per questa ragione che si conserva fino ad oggi in perfette condizioni.Per molto tempo fu diffusa la credenza che per realizzare il colonnato del Bernini a San Pietro vennero asportati e fusi gli antichi bronzi del Pantheon, consistenti nelle massicce travature del pronao. La scellerata decisione ispirò la celebre pasquinata "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" ("ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini") con la quale si voleva sottolineare la smisurata ambizione della famiglia del pontefice che, pur di autocelebrarsi con monumenti spettacolari, spendeva cifre enormi e neppure si fermava di fronte al danneggiamento di uno dei monumenti più importanti dell'antica Roma. L'autore della celebre "pasquinata" è stato identificato dal critico d'arte de L'Osservatore Romano, Sandro Barbagallo, in monsignor Carlo Castelli, ambasciatore del Duca di Mantova. A certificarne l'identificazione è il diario dello stesso Urbano VIII, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana con il nome di Codice Urbinate 1647. A pagina 576v è così scritto: "Dalle lingue malediche e detrattori di fama contaminata fu decantato lo spoglio d'un ornamento antico, benché ciò sia stato vero di haver levato quel Metallo, ma estimato ancor bene e posto, per essere stata ornata la Chiesa de' SS. Apostoli, e si è visto a tempi nostri sopra di questi Critici la maledizione di Dio, perché l'Agente del Duca di Mantova che fu Detrattore di aver affissi i Cartelli di quell'infame Pasquinata da famiglia Barbera ad Barberina, egli morse d'infermità e nel letto chiese perdono a Papa Urbano VIII".

La notizia turbò l’umore del popolo romano ma Urbano fece comunque portare il bronzo del Pantheon alle fonderie papali e nello stesso tempo fece diffondere la voce che il bronzo sarebbe servito soprattutto per le colonne tortili del Bernini, per il baldacchino dell’altare della basilica di san Pietro e, in piccola parte, per i cannoni di Castel Sant'Angelo.
Una furbizia svelata dalle carte dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro, nelle quali si legge come quasi per intero il bronzo delle travi fu utilizzato per i cannoni e solo una piccolissima parte fu consegnata al Bernini che però, diffidando della validità della lega usata dai romani, lo restituì alle fonderie papali.

Attualmente, questo edificio conserva ancora il suo pavimento in marmo originale e nelle cappelle interne, dove furono trovate le statue delle divinità, oggi esistono cappelle con numerose opere d'arte. Fin dal periodo rinascimentale, il Pantheon è stato utilizzato come sede dell'Accademia dei Virtuosi di Roma e fu ispirazione dei più grandi architetti del Rinascimento, tanto che Raffaello volle farne il luogo del proprio riposo eterno. Vi riposano inoltre grandi italiani, re Vittorio Emanuele II, suo figlio Umberto I e sua moglie Margherita.



Pavimento antico sotto l'oculus


Tomba Vittorio Emanuele II




Tomba di Raffaello Sanzio
  



Il livello del tempio originario è circa 6 metri sotto quello attuale.

Oggi, 05 Maggio 2020 la Soprintendeza Speciale di Roma ha comunicato che una buca in piazza della Rotonda davanti al Pantheon ha fatto riemergere la pavimentazione di epoca imperiale. Secondo i rinvenimenti, l'area sarebbe interamente stata ristrutturata nel II sec. d.C. dall'Imperatore Adriano, e anche la piazza sarebbe stata rialzata e nuovamente pavimentata.
Le quote cui si trovano le lastre, oggi rimesse in luce, appaiono pertinenti alla fase adrianea del complesso.
Dopo oltre venti anni dal loro primo rinvenimento - ha spiegato il Soprintendente Speciale Daniela Porro - riemergono intatte le lastre della pavimentazione antica della piazza antistante al Pantheon, protette da uno strato di pozzolana fine. Una dimostrazione inequivocabile di quanto sia importante la tutela archeologica, non solo una occasione di conoscenza, ma fondamentale per la conservazione delle testimonianze della nostra storia, un patrimonio inestimabile in particolare una città come Roma.

Credit e consigliati da visionare i seguenti siti:

Romaierioggi.it - In cima al Pantheon
Hotelnazionale.it - Curiosità sul Pantheon
www.rome-museum.com
Romeguide.it
Romanoimpero.com

Applicazione ufficiale del Pantheon Pantheon (Roma-Italia)

Sito Ufficiale

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