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lunedì 25 maggio 2020

I MERCATI DI TRAIANO




Mercati di Traiano

I mercati di Traiano sono un complesso di costruzioni unitarie, progettato dall'architetto Apollodoro di Damasco, sorto per il sostentamento e occultamento dello spazio dove fu eseguito il taglio, realizzato con una serie di gradini successivi, della collina del Quirinale. Dato che la sua costruzione è in mattoni e lo studio dei bolli laterizi permette di datarlo nel primo decennio del II secolo si può dedurre che abbia preceduto quella del Foro. Si può stabilire anche che alcuni settori della parte più bassa del monumento sono domizianei mentre il resto del complesso appartiene all'opera di Traiano.

Terrazzamento collina del Quirinale

Dato che i Mercati di Traiano non vengono menzionati in fonti letterarie classiche, resta ancora di difficile interpretazione la funzione di tale complesso. E' difficile capire a cosa servisse la struttura anche perché successivamente all'età imperiale gli edifici vennero utilizzati per diversi scopi. Nel Medioevo varie famiglie nobili frazionarono il complesso trasformandolo nel castellum Miliciae, con la Torre delle Milizie, costruita in più fasi a partire dal '200. Nel '500 vengono riuniti gli edifici dalla famiglia Conti ma già nella seconda metà i Mercati vengono occupati dal convento di S. Caterina da Siena, apportando altre modifiche agli edifici antichi. Dopo l'unità d'Italia e la proclamazione di Roma capitale nel 1885 subentra la caserma "Goffredo Mameli". 
Questo grande patrimonio architettonico è stato riportato in luce per iniziativa del Governatorato di Roma nel 1926-34, nell’ambito della grande impresa che portò alla distruzione del quartiere Alessandrino, allo scavo dei Fori Imperiali e alla realizzazione di via dell’Impero. 
Corrado Ricci riesce ad eseguire il progetto di isolamento delle strutture romane imperiali. Egli pensò di aver individuato un "centro commerciale della Roma antica". Questa interpretazione fu poi ripresa da altri studiosi finché Giuseppe Lugli suggerì che potessero essere la sede degli Arcarii Caesariani (ufficiali del fisco Imperiale).
Guido Di Nardo nel 1930 pensò di identificarlo con una caserma di vigili o di pretoriani.
Questa ipotesi dell'insediamento militare è stata recentemente riproposta nel quadro di una complessiva tendenza alla revisione della interpretazione tradizionale dei Mercati di Traiano, per i quali è stata anche sostenuta la funzione di contenitore di uffici afferenti a una prefettura.
Infine, a seguito del ritrovamento dell'epigrafe del procurator Horatius Rogatus si è pensato che i Mercati di Traiano potessero essere in qualche modo collegati al Foro in chiave amministrativa, come edifici di servizio e di supporto per l'alloggio degli addetti al funzionamento e/o come contenitore di materiali connessi allo svolgimento delle attività del complesso.
Un particolare architettonico dell'edificio della Grande Aula è stato confrontato con un edificio pubblico di Ostia Antica nel quale viene interpretato come costruzione rettangolare adibita a vendita o controllo posta in corrispondenza degli ingressi di una Caserma dei Vigili.
Un'epigrafe del 1876 sembra avvalorare la destinazione come caserma dei vigili, infatti pare che nella zona, se non addirittura nei Mercati stessi, vi fosse acquartierata la statione Coorte VI responsabile della Regio VIII.
Al momento questa ipotesi sembra la più plausibile per l'interpretazione del corpo di fabbrica con la Grande Aula assieme a quella di edificio di supporto al Foro di Traiano legata all'epigrafe del procurator Horatius Rogatus.
Negli altri settori dei Mercati possiamo ragionevolmente individuare: Una domus aristocratica (Corpo Centrale), un'insula di appartamenti (Insula lungo la Salita del Grillo), un edificio per l'approvvigionamento e la distribuzione dell'acqua (edificio con cisterna nel Giardino delle Milizie) e molte tabernae distribuite principalmente lungo le strade.





Credit: I Fori Imperiali e i Mercati di Traiano di Roberto Meneghini

Video Il mercato di Traiano e il Museo dei Fori Imperiali

domenica 24 maggio 2020

PANEGIRICO di PLINIO IL GIOVANE

Panegyricus di Plinio il Giovane


Plinio nacque nel 61 o 62 d.C., in una famiglia ricchissima.
Quando morì il padre nel 70, suo zio Plinio il vecchio lo adottò portandolo con sé a Roma.
Nel 79 morì Plinio il Vecchio a seguito dell'eruzione del Vesuvio per aiutare la popolazione (era a capo della flotta romana) e nell'83 morì la madre Plinia. Ereditò quindi tutto il patrimonio di famiglia.
Il suo patrimonio ammontava a circa 400 milioni di sesterzi quando un legionario ne guadagnava, in media, circa 1000 l'anno! Questo gli permise di donare alla città natale di Como una scuola e una biblioteca. Numerose furono in seguito le sue attività di filantropo.
Già minorenne fu nominato protettore della Città di Castello. Quando arrivò a Roma seguì la scuola di retorica di Quintiliano.
Dapprima esercitò la professione forense diventando un ottimo avvocato, poi dall'89 seguì la carriera politica, sotto Domiziano, comandante militare, tribuno della plebe, questore, pretore, magistrato delle acque del Tevere, amministratore dell'erario militare, poi Traiano nel 100 lo nomina Console.
E' in questa occasione che pronunciò in Senato l'orazione di ringraziamento per l'incarico, il gratiarum actio, il Panegyricum.
Il discorso di Plinio durò circa 3 ore, successivamente con l'ottica di una eventuale pubblicazione si preoccupò di rielabolarla e ampliarla.
Il Panegirico nei confronti dell'Imperatore Traiano mantiene un interesse storico in quanto è l'unico esempio di oratoria in latino, dopo quelle di Cicerone due secoli prima.
Il Panegirico a Traiano è composto da 95 capitoli, raggruppando i temi di ordine pubblico e raccontando la vita privata in ordine cronologico.
Nel Panegirico Plinio glorifica l'optimus Princeps Traiano, per le sue azioni di guerra e di pace, per essere colui che garantisce ordine e giustizia, per essere il ritratto ideale di uomo e lo esalta come garante della felicitas temporum in contrapposizione evidente a Domiziano.
Traiano viene esaltato in modo particolare perchè rispetta il Senato e le tradizioni senatorie. La libertas era il bene prezioso dell'età repubblicana perso con l'instaurazione dell'Impero. Inoltre Plinio si rallegra del ritrovato clima di "benessere libertino".
Il tono del Panegirico è spiccatamente adulatorio e a volte rasenta il servilismo. Ciò non toglie che Plinio dovesse essere sincero di sentimenti e di pensiero.
A volte egli esorta Traiano a perseverare in uno stile di vita virtuoso:
Persta, Caesar, in ista ratione propositi
“Persevera, Cesare, in questo tuo metodo di vita”.
Questa esortazione è insolita nel gratiarum actio e si distingue dagli altri precedenti. A seguito di questo Panegirico ve ne saranno molti altri e diverranno di uso frequente.
Lo stile di Plinio è asiano, egli infatti ama narrare e descrivere dettagliatamente, è molto curato ed è ricco di artifici retorici (scuola di Quintiliano).

Nel 1784 Vittorio Alfieri buttò giù una diversa versione del testo pliniano, in cui immaginava che l'autore esortasse l'imperatore a restituire ai Romani le perdute libertà panegirico a rovescio, tipiscamente alfierano.

..."Sforzato pure dalla noia, e nell’ore che cavalcare e daurigare non si poteva, tanto e tanto qualcosa andava pur leggicchiando, massime la mattina in letto, appena sveglio. In queste semiletture avea scorse le lettere di Plinio il Minore, e molto mi avean dilettato sì per la loro eleganza, sì per le molte notizie su le cose e costumi romani che vi si imparano; oltre poi il purissimo animo, e la bella ed amabile indole che vi va sviluppando l’autore. Finite l’epistole, impresi di leggere il Panegirico a Traiano, opera che mi era nota per fama, ma di cui non avea mai letta parola. Inoltratomi per alcune pagine, e non vi ritrovando quell’uomo stesso dell’epistole, e molto meno un amico di Tacito, qual egli si professava, io sentii nel mio intimo un certo tal moto d’indegnazione; e tosto, buttato là il libro saltai a sedere sul letto, dov’io giaceva nel leggere; ed impugnata con ira la penna, ad alta voce gridando dissi a men stesso: “Plinio mio, se tu eri davvero e l’amico, e l’emulo, e l’ammiratore di Tacito, ecco come avresti dovuto parlare a Traiano”. E senza più aspettare, né riflettere, scrissi d’impeto, quasi forsennato, così come la penna buttava, circa quattro gran pagine del mio minutissimo scritto; finché stanco, e disebriato dallo sfogo delle versate parole, lasciai di scrivere, e quel giorno non vi pensai più. La mattina dopo, ripigliato il mio Plinio, o per dir meglio, quel Plinio che tanto mi era scaduto di grazia nel giorno innanzi, volli continuar di leggere il di lui Panegirico. Alcune poche pagine più, facendomi gran forza, ne lessi; poi non mi fu possibile di proseguire. Allora volli un po’ rileggere quello squarcione del mio Panegirico, ch’io avea scritto delirando la mattina innanzi. Lettolo, e piaciutomi, e rinfiammato più di prima, d’una burla ne feci, o credei farne, una cosa serissima; e distribuito e diviso alla meglio il mio tema, senza più ripigliar fiato, scrivendone ogni mattina quanto ne potevan gli occhi, che dopo un pard’ore di entusiastico lavoro non mi 

fanno più luce; e pensandovi poi e ruminandone tutto l’intero giorno, come sempre mi accade allorché non so chi mi dà questa febbre del concepire e comporre; me lo trovai tutto steso nella quinta mattina, dal dì 13 al 17 di marzo; e con pochissima varietà,toltone l’opera della lima, da quello che va dattorno stampato. "...