lunedì 18 maggio 2020

ARCO DI TITO

Arco di Tito

Prima di presentare l'Arco di Tito illustro brevemente la storia degli Archi Monumentali.

L'arco onorario, nella sua variante Trionfale, è fra i monumenti più tipici dell'architettura romana. L'arco perde le sue funzioni strutturali di sostegno e di passaggio e diviene una presenza simbolica che indica un limite ideale o una soglia da attraversare. Deriva dal valore del gesto di passare sotto, passaggio che può significare anche la transizione tra lo spazio sacro e quello profano. A questo significato simbolico si affianca poi la funzione prevalente di supporto per statue, iscrizioni e pannelli illustrati per onorare un personaggio pubblico. Plinio avvalora questa interpretazione descrivendo le colonne come simbolo di elevazione al di sopra degli altri mortali. 

Gli Imperatori quindi, erano soliti costruire dei monumenti che ricordassero le loro imprese. Questa tradizione era già in uso nel periodo repubblicano ma non ve ne sono resti. Si è venuti a conoscenza che da Augusto in poi il potere di deciderne la costruzione è riservato al Senato. In questo modo il monumento diviene uno strumento ufficiale di esaltazione celebrativa-commemorativa e uno strumento di propaganda della politica imperiale.

L’esistenza dell’arco si lega alla cerimonia del trionfo (triumphus), il più solenne riconoscimento tributato a un condottiero da parte del popolo romano. Per aspirare a un tale onore, si rispettano alcune precise regole:

  • l’autorizzazione è data tramite una delibera del Senato;

  • il condottiero deve esercitare, il giorno della battaglia, l’autorità suprema;

  • la vittoria deve essere riportata in una guerra contro un popolo straniero (non in una guerra civile, contro altri cives romani) e devono essere stati uccisi in una sola battaglia non meno di cinquemila nemici.

Il più antico arco onorario a Roma è proprio quello che Domiziano, tra l'81 e il 90 d.C., fece erigere per commemorare il fratello Tito e il padre Vespasiano, appartenenti alla famiglia dei Flavi (la stessa dinastia del Colosseo).

L'epigrafe recita:

Senatus / populusque romanus / divo Tito divi Vespasiani f(ilio) / Vespasiano Augusto. 
Il Senato e il popolo romano al divino Tito, figlio del divino Vespasiano, Vespasiano Augusto.
Epigrafe

In particolare, l’opera ricorda la conquista della Galilea e la presa di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. culminata con la distruzione del Tempio e la dispersione del popolo ebraico in tutte le aree dell'Impero, le cui conseguenze sono rimaste tragicamente vive nella storia d'Europa fino all'olocausto. E' situata all’ingresso della Via Sacra, a ridosso del Foro romano.
L’arco di Tito è un arco di trionfo ad un solo fornice (ossia con una sola arcata) ed è in marmo pentelico finemente decorato. 

All'esterno otto colonne corinzie, impostate su alti plinti modanati, sorreggono la trabeazione decorata da un piccolo fregio continuo su cui si snoda una processione trionfale. Due Vittorie alate sono poste negli archivolti.

Le dee della Vittoria negli archivolti

All'interno il fornice è coperto da una lussuosa volta a botte cassettonata al cui centro è scolpita un'aquila che sorregge il ritratto di Tito, allusione alla sua apoteosi, cioè alla sua assunzione fra gli dèi dopo la morte. 

Tito sorretto da un'aquila

Sulle pareti interne, due grandi pannelli scolpiti fanno ala al passaggio dello spettatore. 

Qui dobbiamo soffermarci un poco in quanto i pannelli sono una rivoluzione stilistica nell'arte romana. Entrambi i pannelli sono scolpiti ad altissimo rilievo. La lastra raggiunge in taluni punti lo spessore di un metro e oltre. I pannelli mostrano, secondo costume largamente tradizionale, i momenti salienti del Trionfo del giovane principe. 
In uno avanza la quadriga imperiale, il carro del trionfatore, guidata dalla dea Roma e preceduto dai littori, con Tito incoronato simbolicamente da una Nike Alata (la Vittoria) che prende il posto dello schiavo, servus publicus, cui nei cortei era riservato questo specifico compito; 

Il corteo con la quadriga

nel secondo i soldati romani avanzano, entro le mura attraverso la porta Triumphalis, coi fercula, le portantine su cui sono posti gli oggetti portati via dal Tempio di Gerusalemme: le trombe d’argento, la mensa dell’arca dell’alleanza e il candelabro a sette bracci, simboli veneratissimi del popolo ebraico mostrati ai Romani come le spoglie di un nemico lungamente odiato. 

Soldati col tesoro di Gerusalemme

Se questo tema è tipico nella rappresentazione Trionfale è assolutamente nuovo e il linguaggio adottato dallo scultore per rappresentare l'evento. 
Anziché scorrere sul fondo neutro indefinito, dei rilievi giulio-claudi, la massa degli uomini in processione viene incontro allo spettatore con un moto circolare, uscendo dal piano della rappresentazione al centro della scena e rientrandovi all'estremità, specie sul lato destro dove il fornice della porta è visibile solo nella parte esterna. Ciò dimostra che il rilievo doveva essere completato con la pittura.
Il colore, infatti, enfatizzando la plasticità delle figure in prima fila, stagliando l'oro e l'argento delle prede su fondo azzurro del cielo, accentuava certamente l'elemento illusionistico, già così impressionante nel pur precario stato di conservazione documentato da foto ottocentesche.

Nel Medioevo l'arco venne incorporato nella fortezza dei Frangipane; Successivamente fu inglobato nelle strutture del convento di Santa Francesca Romana.
Piranesi - Immagine del XVIII sec.
illustra l'incorporazione dell'arco nella fortezza dei
Frangipane


Soltanto nel 1812-24 ebbe inizio l'intervento di liberazione vero e proprio. I restauri del 1823 sul lato ovest dell’attico, portarono alla liberazione dell’arco dalla struttura medievale. Ulteriori lavori realizzati nel 1901-02 ne misero in luce le fondazioni.  



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