martedì 9 giugno 2020

MUSEO CASAL DE' PAZZI (DEPOSITO PLEISTOCENICO)



Pannelli in maioliche artistiche Museo Casal de' Pazzi

Tra le varie "attrazioni" della MIC CARD di Roma c'è anche il Museo di Casal de' Pazzi.
A Roma ci si immerge di storia romana pensando di trovarci nei luoghi più antichi della città... finché non ci si imbatte in questo museo!
Nel 1981 scavando per lavori stradali ci si è trovati di fronte ad un'area di 1200 mq di un deposito Pleistocenico! Dico 200.000 anni fa!
Fortunatamente a differenza di altre zone, che sono state reinterrate, a questa è stata riservata un'area di circa 300 mq da adibirsi a museo, addirittura modificando il piano regolatore.
Qui vi è nato un museo dove potete ammirare il letto antico del Fiume Aniene con i suoi sedimenti risalenti alla Preistoria!
Un ambiente caratterizzato da vulcani, da grandi faune e da uomini cacciatori.
Nel deposito sono esposti i resti di un Elefante le cui zanne raggiungevano i quattro metri di lunghezza,

Zanne di Elefante

Zanna di Elefante



i fossili di rinoceronti, quelli di ippopotami,

Canini di Ippopotamo

uri, cervi, daini, iene, lupi, cavalli, cinghiali ed uccelli acquatici. 
La flora fossile è rappresentata da foglie di Zelkova crenata, che può essere vista dal vivo nel giardino del museo.

Zelkova crenata
Zelkova crenata
















Inoltre all'interno del museo vi è un frammento di cranio umano.


Interessante è anche la ricostruzione virtuale del paesaggio con video proiettata sul deposito e la spiegazione dell'ambiente antico.
Terminati i video potete dedicarvi all'attenta osservazione di alcuni dei reperti esposti relativi alla fauna, alla flora e agli attrezzi che utilizzava l'uomo di quei tempi.
Vale la pena di visitare il Museo di Casal de' Pazzi soltanto, se non bastasse il resto, per immergersi in un periodo storico che non immaginava certamente la sua evoluzione nella città di Roma antica e odierna!

Stratigrafia
Deposito del Fiume Aniene
Deposito del Fiume Aniene
Giardino con  vegetazione  


sabato 6 giugno 2020

CIRCO MASSIMO



Circo Massimo


LA VALLE MURCIA
L'area occupata dal Circo Massimo la "vallis Murcia" in origine era una zona fluviale e paludosa e garantiva una funzione di scambio commerciale in cui le comunità insediate sulla sommità dei colli potevano incontrarsi e mercanteggiare. 
Era un'area che divideva l'Aventino (colle scelto da Remo per popolare Roma in caso di vincita contro Romolo) dal Palatino (colle scelto da Romolo). 
Tra l'altro la linea pomeriale (il confine della città di Roma) coinciderà con la spina del Circo Massimo, tracciata assialmente tra l'ara Consi (altare ipogeo nella valle Murcia) e l'ara Herculis (situata nel foro Boario), i due degli angoli del pomerio. 
I resti della spina sono stati ritrovati a 5m di profondità rispetto all'attuale piano.

All'epoca di Romolo la valle Murcia probabilmente poteva essere utilizzata soltanto in estate finché, successivamente, l'area venne bonificata.
La palude era dedicata al culto di Murcia, dea del matrimonio, simbolicamente rappresentata dal mirto, pianta preposta alle nozze. 
All'interno di questa valle si trovava l'ara sotterranea dedicata a 
Conso, divinità celebrata per propiziare l'abbondanza del raccolto. Il Dio Conso era figlio della Dea Natura e sparì nell'Ade per poi riemergere (simbolicamente moriva in autunno e resuscitava in primavera), per questo la sua ara era sotterranea.
Il culto del Dio Conso era antecedente alla fondazione di Roma e risaliva ai tempi di Albalonga XII sec. a.C.. Romolo riprese la tradizione dei suoi avi, la divinità veniva celebrata in due momenti, il 21 agosto la festa era dedicata alla mietitura, il 15 dicembre la festa aveva un significato propiziatorio.
Durante il rituale avveniva la riscoperta dell'ara asportandone la terra che usualmente la sigillava.
Secondo Dionigi di Alicarnasso, il Dio Conso in alcune zone veniva identificato nel dio Nettuno protettore degli equini. L'evento principale delle Consualia pertanto erano le competizioni ippiche.
E' nella valle Murcia che Romolo organizza una Consualia dove invita le popolazioni vicine, in particolare quella dei Sabini che occupavano il Colle Quirinale.
In questa occasione avvenne il Ratto delle Sabine, il rapimento delle donne vergini con cui Romolo voleva aumentare il numero della popolazione romana.  Lo stesso Romolo prese in moglie una sabina di nome Ersilia. Come conseguenza del ratto vi furono delle guerre con i popoli vicini che i Romani vinsero, a parte quella con i Sabini dove le donne dovettero scendere in prima linea per fermare l'avanzata dei Sabini,  invocando la pace a mariti (romani), a padri e fratelli (sabini).
Si decise quindi di unire i due regni stipulando un patto sulla via Sacra, intorno al sacello di Venere Cloacina del Foro
Per venire incontro ai Sabini, i romani da quel momento presero il nome di quiriti, dalla città di Cures da cui proveniva Tito Tazio, re dei Sabini, in cambio la città continuò a chiamarsi Roma.
Non è un caso che il ratto delle Sabine avvenne proprio nella valle Murcia, valle la cui Dea propiziava le unioni.
Da questo episodio nascono due tradizioni: in cui una lo sposo prende in braccio la moglie a ricordo del rapimento e nell'altra gli invitati gridano "Talasius" durante le feste dei matrimoni.
«Si racconta che una di esse, molto più carina di tutte le altre, fu rapita dal gruppo di un certo Talasio e, poiché in molti cercavano di sapere a chi mai la stessero portando, gridarono più volte che la portavano a Talasio perché nessuno le mettesse le mani addosso. Da quell'episodio deriva il nostro grido nuziale.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. I, capoverso 9) 
L'ara Consi e le costruzioni sotterranee limitrofe furono una sorta di silos per la conservazione dei beni alimentari della comunità in particolare del grano e del farro.

IL CIRCO MASSIMO
L'area del futuro circo sembra connotarsi quindi a vocazione emporica e ludico-religiosa.
La posizione del Circo Massimo potrebbe essere in relazione con la disposizione del tempio ipogeo dell'Ara Consi.

Le prime costruzioni del Circo si possono datare all'epoca di Tarquinio Prisco (V Re di Roma 616-579 a.C.). Per assistere alle gare equestri si allestirono file di sedili lignei, chiamati "fori publici", inoltre creò trenta zone, una per ogni curia.

Il Circo Massimo prende il nome da Circe che avrebbe offerto il primo spettacolo al padre Sole (Circo) e Maximo in quanto il più grande e magnifico degli altri edifici similari.
Il Circo Massimo era consacrato principalmente al Sole (che muore al tramonto e scende a fecondare la terra e all'alba risorge, così come il Dio Conso moriva in autunno e resuscitava a primavera).
Le quadrighe (carri trainati da quatto cavalli) erano sacre al Sole, come le bighe alla Luna.
Seguendo le orme dei greci e degli etruschi, la celebrazione dei morti era legata alla competizione ippica e l'agone doveva rievocare la scomparsa e la divinizzazione di Romolo, per un felice raccolto e la continuità del regno. La fondazione di un ippodromo avviene sempre in relazione alla posizione di una tomba depositaria di un culto ctonio (sotterraneo).
Inoltre le divinità solari erano legate soprattutto ai cavalli bianchi, questo colore rappresenta la luce diurna del Sole. 
Come riporta Tertulliano all'inizio le fazioni in gara erano soltanto due, la bianca e la rossa (il rosso indicava sia l'alba che il tramonto).
Sembra credibile che la gara delle quadrighe rappresentava inizialmente lo scorrere del tempo, il bianco rappresentava la luce del sole durante il giorno, il rosso rappresentava la discesa del Sole al suo viaggio notturno.
Le uova (blocchi tondi di pietra) presenti nel Circo rappresentavano i contagiri (bianco dell'albume e rosso del tuorlo).
La corsa veniva concepita altresì come un continuo percorso fuori/dentro rispetto alla spina che rappresentava il pomerium. Riproduceva il moto del Sole nelle continue e perenni ascese al cielo (tratto urbano) e discese nell'aldilà (tratto extraurbano, oltre il pomerio) dopo aver toccato e fecondato la terra.
La corsa delle quadrighe nel Circo Massimo divenne quindi un rituale propiziatorio affinché il Sole sorgesse ogni giorno e garantisse la nascita delle messi, la celebrazione delle nozze, il concepimento di nuovi individui e di conseguenza la continuità del gruppo.

Il popolo amava le corse facendo un vero e proprio tifo da stadio, naturalmente erano anche occasioni per scommettere e momenti in cui si potevano svolgere incontri clandestini amorosi sfruttando il fragore del pubblico.

Oltre le quadrighe potevano disputarsi corse di bighe e trighe anche con più cavalli. Il cerimoniale prevedeva una processione che faceva il giro intorno alla spiga, poi seguivano sacrifici in onore delle divinità. L'inizio delle gare era annunciato da chi presiedeva i giochi che aveva il compito di far cadere un drappo bianco dall'alto della tribuna dentro l'arena per la partenza. 
La disposizione delle squadre complete di assistenti veniva decisa a sorte. Solitamente erano quattro: bianca, rossa, blu e verde.
L'auriga teneva le redini intorno alla cinta ed era dotato di un coltello per tagliarle in caso di difficoltà. Egli aveva il compito difficile di sporgersi in avanti per eccitare i cavalli e di tirarsi indietro per frenarli.
Il cavallo aveva sul collo una reticella colorata per individuare la squadra così come l'auriga aveva la tunica dello stesso colore.
L'auriga generalmente era uno schiavo e la vittoria era riconosciuta con due premi, la corona di alloro e del denaro, così come il gladiatore poteva comprarsi la libertà.

Nel 326 a.C. furono costruite in legno le gabbie di partenza dei carri (carceres) e venne creata la spina centrale, canalizzando il corso d’acqua che attraversava la valle verso il Tevere a Nord.

Nel 174 a.C Livio menziona per la prima volta gli ova e le metae (i grandi segnacoli intorno ai quali giravano i carri) insieme alla ricostruzione in muratura dei carceres.
I dodici carceres,  (struttura di partenza sul lato corto rettilineo verso il Tevere) erano disposti obliquamente per permettere l'allineamento alla partenza e dotati di un meccanismo che ne permetteva l'apertura simultanea.

Nel circo di età imperiale si ritrova un tempio dedicato al Sole sul versante del lato Aventino, sulle cui scalinate si posiziona il Tribunale dei giudici di gara, mentre di fronte, sul versante del colle Palatino, acquista forme monumentali il Pulvinar, una struttura a forma di tempio destinato ad ospitare le statue delle divinità che assistevano ai giochi portate in processione prima delle manifestazioni e adibito anche ad ospitare i membri della famiglia imperiale.  
Domiziano fece costruire un secondo arco in onore di Tito nell'81. Questo era ampio 17 m, profondo 15 ed era a tre fornici con quattro colonne alte 10 m . Sull'attico vi era una quadriga bronzea, sul fronte aveva una platea e una scalinata. Il lungo corteo trionfale, dopo aver sfilato lungo il Circo Massimo e avere raccolto l'ovazione della folla, passava al di sotto dell'arco e proseguiva il suo cammino diretto al tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio.
Nel 2015 durante i nuovi scavi che hanno portato alla scoperta dell'Arco di Tito sono state ritrovate anche parte della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all'Imperatore.

Imponenti lavori edilizi si devono poi a Cesare a cui si devono i primi sedili in muratura e la forma definitiva a partire dal 46 a.C.

Un incendio nel 31 a.C. distrusse la struttura in legno. 
L'Imperatore Augusto lo fece ricostruire aggiungendo un palco imperiale sul Palatino e un grande obelisco di Ramses II alto fino a 23 m, proveniente da Eliopoli, che fu collocato sulla spina come decorazione (fatto spostare a Piazza del Popolo da Sisto V nel 1587).

Obelisco Piazza del Popolo

Il primo grande ampliamento della capienza si deve però a Nerone, che a seguito del grande incendio di Roma del 64 d.C., ne promosse lo sviluppo fino alla capienza di 250.000 persone. 

Un secondo incendio portò l’imperatore Traiano ad un ennesimo intervento edilizio nel 103 d.C., che modificò il tratto della curva nella forma tuttora esistente.  Grazie alla scoperta del calcestruzzo riuscì a edificare in breve tempo i tre piani del Circo Massimo, scongiurando il pericolo di altri incendi. A quest'epoca risalgono la maggior parte dei resti conservatisi sino ad oggi. Traiano fece in modo che la capienza raggiungesse un quarto dell'intera popolazione romana dell'epoca!

Nel 387 d.C. un altro obelisco alto 32 m, relativo a Thutmosis III e proveniente dalla città di Tebe in Egitto è stato aggiunto  dall'Imperatore Costanzo, nel IV secolo ( fatto spostare anch'esso da Sisto V nel 1587 a Piazza San Giovanni ). 

Obelisco Piazza San Giovanni


Il Circo Massimo è probabilmente il monumento antico più grande,
il più grande stadio di tutti i tempi! 
Le sue dimensioni erano enormi 600 x 140 metri, la facciata esterna aveva tre ordini, soltanto quello inferiore era ad arcate. La cavea poggiava su strutture in muratura che ospitavano i passaggi e le scale per raggiungere i diversi settori dei sedili, ambienti di servizio interni e botteghe verso l'esterno. Nell'arena vi si svolgevano le corse dei carri intorno alla spina  (riccamente decorata da statue, edicole, tempietti, sette uova e sette delfini da cui sgorgava l'acqua, utilizzati come contagiri) tra le due mete (due elementi semicircolari). 
Intorno alla spina correva un canale, detto euripus, dal quale gli addetti potevano attingere acqua per annaffiare i mozzi arroventati dei carri.

Le parti del Circo erano cariche di significati simbolici: le porte dei carceres erano 12 come i segni zodiacali e i mesi dell'anno, i quattro colori delle squadre erano in relazione alle stagioni, le Mete rappresentavano i confini dell'oriente e dell'occidente, i giri della corsa erano sette come i pianeti ed i giorni della settimana ed al sole, l'auriga celeste, erano dedicati anche i due grandi obelischi egizi. 

Le due gallerie interne superstiti, al piano terra ed al primo piano, distribuivano il flusso del pubblico diretto verso le gradinate (ima e media cavea). 


Galleria al primo piano

La parte superiore dell‟edificio non è nota, ma a causa della fragilità di alcune strutture portanti possiamo ipotizzare un largo impiego di costruzioni in legno in molte sue parti.  E' proprio questo il settore del circo da cui la notte del 18 luglio del 64, durante il principato di Nerone, si sviluppò il disastroso incendio che distrusse gran parte di Roma, come ci racconta lo storico Tacito.

Il Circo Massimo ospitava i Ludi Romani in onore a Giove e occasionalmente era utilizzato per processioni, combattimenti di gladiatori (spettacolare quello organizzato da Pompeo tra un gruppo di gladiatori e 20 elefanti), cacce di animali selvatici, esecuzioni pubbliche, competizioni sportive, naumachie.

Le corse dei carri vi si sono svolte per quasi un millennio e fino al 549 d.C. quando si tenne l’ultima corsa.

Nel XII secolo, il fornice viene occupato dal canale dell'Acqua Mariana, e poco oltre si costruisce la Torre della Moletta.

La maggior parte della struttura è stata utlizzata per realizzare costruzioni medievali e rinascimentali.


IL CIRCO MASSIMO OGGI
Oggi si può accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea. Nelle gallerie si possono osservare i resti delle latrine. Vi è anche una strada basolata (antico perimetro del Circo) dove si trova una grande vasca abbeveratoio in lastre di travertino.

Tabernae e abbeveratoio

Si possono visitare anche le tabernae: locande, negozi per la vendita di alimenti, magazzini, lupanari, lavanderie e uffici di cambiavalute per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.


L'intervento di riqualificazione dell'area del 2015 ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII sec per difendere un mulino per la lavorazione dei prodotti agricoli)
Tra le storie della Torre, divenuta proprietà dei Frangipane, c'è anche quella di aver ospitato San Francesco di Assisi.

Torre della Moletta

Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull'area archeologica!

Ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), 

Elementi edificio antico

mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.


Veduta dal versante Tevere

Veduta dal versante Tevere



Centro della spina

Emiciclo versante Arco di Tito

Tabernae








lunedì 25 maggio 2020

I MERCATI DI TRAIANO




Mercati di Traiano

I mercati di Traiano sono un complesso di costruzioni unitarie, progettato dall'architetto Apollodoro di Damasco, sorto per il sostentamento e occultamento dello spazio dove fu eseguito il taglio, realizzato con una serie di gradini successivi, della collina del Quirinale. Dato che la sua costruzione è in mattoni e lo studio dei bolli laterizi permette di datarlo nel primo decennio del II secolo si può dedurre che abbia preceduto quella del Foro. Si può stabilire anche che alcuni settori della parte più bassa del monumento sono domizianei mentre il resto del complesso appartiene all'opera di Traiano.

Terrazzamento collina del Quirinale

Dato che i Mercati di Traiano non vengono menzionati in fonti letterarie classiche, resta ancora di difficile interpretazione la funzione di tale complesso. E' difficile capire a cosa servisse la struttura anche perché successivamente all'età imperiale gli edifici vennero utilizzati per diversi scopi. Nel Medioevo varie famiglie nobili frazionarono il complesso trasformandolo nel castellum Miliciae, con la Torre delle Milizie, costruita in più fasi a partire dal '200. Nel '500 vengono riuniti gli edifici dalla famiglia Conti ma già nella seconda metà i Mercati vengono occupati dal convento di S. Caterina da Siena, apportando altre modifiche agli edifici antichi. Dopo l'unità d'Italia e la proclamazione di Roma capitale nel 1885 subentra la caserma "Goffredo Mameli". 
Questo grande patrimonio architettonico è stato riportato in luce per iniziativa del Governatorato di Roma nel 1926-34, nell’ambito della grande impresa che portò alla distruzione del quartiere Alessandrino, allo scavo dei Fori Imperiali e alla realizzazione di via dell’Impero. 
Corrado Ricci riesce ad eseguire il progetto di isolamento delle strutture romane imperiali. Egli pensò di aver individuato un "centro commerciale della Roma antica". Questa interpretazione fu poi ripresa da altri studiosi finché Giuseppe Lugli suggerì che potessero essere la sede degli Arcarii Caesariani (ufficiali del fisco Imperiale).
Guido Di Nardo nel 1930 pensò di identificarlo con una caserma di vigili o di pretoriani.
Questa ipotesi dell'insediamento militare è stata recentemente riproposta nel quadro di una complessiva tendenza alla revisione della interpretazione tradizionale dei Mercati di Traiano, per i quali è stata anche sostenuta la funzione di contenitore di uffici afferenti a una prefettura.
Infine, a seguito del ritrovamento dell'epigrafe del procurator Horatius Rogatus si è pensato che i Mercati di Traiano potessero essere in qualche modo collegati al Foro in chiave amministrativa, come edifici di servizio e di supporto per l'alloggio degli addetti al funzionamento e/o come contenitore di materiali connessi allo svolgimento delle attività del complesso.
Un particolare architettonico dell'edificio della Grande Aula è stato confrontato con un edificio pubblico di Ostia Antica nel quale viene interpretato come costruzione rettangolare adibita a vendita o controllo posta in corrispondenza degli ingressi di una Caserma dei Vigili.
Un'epigrafe del 1876 sembra avvalorare la destinazione come caserma dei vigili, infatti pare che nella zona, se non addirittura nei Mercati stessi, vi fosse acquartierata la statione Coorte VI responsabile della Regio VIII.
Al momento questa ipotesi sembra la più plausibile per l'interpretazione del corpo di fabbrica con la Grande Aula assieme a quella di edificio di supporto al Foro di Traiano legata all'epigrafe del procurator Horatius Rogatus.
Negli altri settori dei Mercati possiamo ragionevolmente individuare: Una domus aristocratica (Corpo Centrale), un'insula di appartamenti (Insula lungo la Salita del Grillo), un edificio per l'approvvigionamento e la distribuzione dell'acqua (edificio con cisterna nel Giardino delle Milizie) e molte tabernae distribuite principalmente lungo le strade.





Credit: I Fori Imperiali e i Mercati di Traiano di Roberto Meneghini

Video Il mercato di Traiano e il Museo dei Fori Imperiali

domenica 24 maggio 2020

PANEGIRICO di PLINIO IL GIOVANE

Panegyricus di Plinio il Giovane


Plinio nacque nel 61 o 62 d.C., in una famiglia ricchissima.
Quando morì il padre nel 70, suo zio Plinio il vecchio lo adottò portandolo con sé a Roma.
Nel 79 morì Plinio il Vecchio a seguito dell'eruzione del Vesuvio per aiutare la popolazione (era a capo della flotta romana) e nell'83 morì la madre Plinia. Ereditò quindi tutto il patrimonio di famiglia.
Il suo patrimonio ammontava a circa 400 milioni di sesterzi quando un legionario ne guadagnava, in media, circa 1000 l'anno! Questo gli permise di donare alla città natale di Como una scuola e una biblioteca. Numerose furono in seguito le sue attività di filantropo.
Già minorenne fu nominato protettore della Città di Castello. Quando arrivò a Roma seguì la scuola di retorica di Quintiliano.
Dapprima esercitò la professione forense diventando un ottimo avvocato, poi dall'89 seguì la carriera politica, sotto Domiziano, comandante militare, tribuno della plebe, questore, pretore, magistrato delle acque del Tevere, amministratore dell'erario militare, poi Traiano nel 100 lo nomina Console.
E' in questa occasione che pronunciò in Senato l'orazione di ringraziamento per l'incarico, il gratiarum actio, il Panegyricum.
Il discorso di Plinio durò circa 3 ore, successivamente con l'ottica di una eventuale pubblicazione si preoccupò di rielabolarla e ampliarla.
Il Panegirico nei confronti dell'Imperatore Traiano mantiene un interesse storico in quanto è l'unico esempio di oratoria in latino, dopo quelle di Cicerone due secoli prima.
Il Panegirico a Traiano è composto da 95 capitoli, raggruppando i temi di ordine pubblico e raccontando la vita privata in ordine cronologico.
Nel Panegirico Plinio glorifica l'optimus Princeps Traiano, per le sue azioni di guerra e di pace, per essere colui che garantisce ordine e giustizia, per essere il ritratto ideale di uomo e lo esalta come garante della felicitas temporum in contrapposizione evidente a Domiziano.
Traiano viene esaltato in modo particolare perchè rispetta il Senato e le tradizioni senatorie. La libertas era il bene prezioso dell'età repubblicana perso con l'instaurazione dell'Impero. Inoltre Plinio si rallegra del ritrovato clima di "benessere libertino".
Il tono del Panegirico è spiccatamente adulatorio e a volte rasenta il servilismo. Ciò non toglie che Plinio dovesse essere sincero di sentimenti e di pensiero.
A volte egli esorta Traiano a perseverare in uno stile di vita virtuoso:
Persta, Caesar, in ista ratione propositi
“Persevera, Cesare, in questo tuo metodo di vita”.
Questa esortazione è insolita nel gratiarum actio e si distingue dagli altri precedenti. A seguito di questo Panegirico ve ne saranno molti altri e diverranno di uso frequente.
Lo stile di Plinio è asiano, egli infatti ama narrare e descrivere dettagliatamente, è molto curato ed è ricco di artifici retorici (scuola di Quintiliano).

Nel 1784 Vittorio Alfieri buttò giù una diversa versione del testo pliniano, in cui immaginava che l'autore esortasse l'imperatore a restituire ai Romani le perdute libertà panegirico a rovescio, tipiscamente alfierano.

..."Sforzato pure dalla noia, e nell’ore che cavalcare e daurigare non si poteva, tanto e tanto qualcosa andava pur leggicchiando, massime la mattina in letto, appena sveglio. In queste semiletture avea scorse le lettere di Plinio il Minore, e molto mi avean dilettato sì per la loro eleganza, sì per le molte notizie su le cose e costumi romani che vi si imparano; oltre poi il purissimo animo, e la bella ed amabile indole che vi va sviluppando l’autore. Finite l’epistole, impresi di leggere il Panegirico a Traiano, opera che mi era nota per fama, ma di cui non avea mai letta parola. Inoltratomi per alcune pagine, e non vi ritrovando quell’uomo stesso dell’epistole, e molto meno un amico di Tacito, qual egli si professava, io sentii nel mio intimo un certo tal moto d’indegnazione; e tosto, buttato là il libro saltai a sedere sul letto, dov’io giaceva nel leggere; ed impugnata con ira la penna, ad alta voce gridando dissi a men stesso: “Plinio mio, se tu eri davvero e l’amico, e l’emulo, e l’ammiratore di Tacito, ecco come avresti dovuto parlare a Traiano”. E senza più aspettare, né riflettere, scrissi d’impeto, quasi forsennato, così come la penna buttava, circa quattro gran pagine del mio minutissimo scritto; finché stanco, e disebriato dallo sfogo delle versate parole, lasciai di scrivere, e quel giorno non vi pensai più. La mattina dopo, ripigliato il mio Plinio, o per dir meglio, quel Plinio che tanto mi era scaduto di grazia nel giorno innanzi, volli continuar di leggere il di lui Panegirico. Alcune poche pagine più, facendomi gran forza, ne lessi; poi non mi fu possibile di proseguire. Allora volli un po’ rileggere quello squarcione del mio Panegirico, ch’io avea scritto delirando la mattina innanzi. Lettolo, e piaciutomi, e rinfiammato più di prima, d’una burla ne feci, o credei farne, una cosa serissima; e distribuito e diviso alla meglio il mio tema, senza più ripigliar fiato, scrivendone ogni mattina quanto ne potevan gli occhi, che dopo un pard’ore di entusiastico lavoro non mi 

fanno più luce; e pensandovi poi e ruminandone tutto l’intero giorno, come sempre mi accade allorché non so chi mi dà questa febbre del concepire e comporre; me lo trovai tutto steso nella quinta mattina, dal dì 13 al 17 di marzo; e con pochissima varietà,toltone l’opera della lima, da quello che va dattorno stampato. "...

sabato 23 maggio 2020

IL TEMPIO DI GIOVE


Tempio di Giove Capitolino
nel Palazzo dei Conservatori
ai Musei Capitolini

Il tempio di Giove Ottimo Massimo, Giunone e Minerva era il santuario delle divinità protettrici di Roma.
Fu edificato da Tarquinio Prisco (616-579 a.C.) duplicando il tempio del santuario di Iuppiter Latiaris (Monte Albano) area sacra dei popoli latini. Tarquinio Prisco in questo modo voleva spostare il centro politico dei latini nella città di Roma, inoltre promise agli dèi l'elevazione del Tempio in caso di vittoria contro i Sabini. 
Venne eretto sul Monte Tarpeo livellandolo sulla cima occidentale e venne costruita una cinta muraria di contenimento. Tarquinio il Superbo, succeduto al padre, non poté terminare l'opera in quanto cacciato dai romani in rivolta contro la monarchia.
Fu inaugurato in età repubblicana nel 509 a.C. dal console Orazio Pulvillo.
La storia ci racconta che l'area era già occupata da piccoli edifici di molteplici divinità. Queste, interpellate dagli auruspici, acconsentirono allo spostamento del loro luogo di culto, tutti a parte Terminus e Juventas i quali vennero inglobati nel nuovo tempio.
Una leggenda ci tramanda che durante lo scavo venne rinvenuto una testa integra (da qui Caput) perfettamente conservata, forse appartenente al condottiero Aulo Vibenna, ma appare più probabile l'appartenenza alla statua dell'antica dea Tarpeia, dea del combattimento e della morte, visto che dalla rupe Tarpea si gettavano i traditori.
Da quel momento il colle fu chiamato Capitolium e da questo prodigio si capì che Roma da lì in poi sarebbe stata al centro del potere.
Le sue dimensioni si conoscono grazie a Dionigi di Alicarnasso. Il tempio era lungo circa 200 piedi (60 m) e la larghezza era di poco inferiore alla lunghezza.
Aveva il fronte con tre filari di colonne, e il perimetro contornato da una sola colonna. Il Tempio era aerostilo, in quanto le colonne erano molto distanti tra loro. Per questo tipo di costruzione gli architravi di pietra sarebbero stati troppo pesanti, per cui vennero costruiti in legno.
Aveva tre stanze, la centrale era quella di Giove, la laterale di destra quella di Minerva e quella di sinistra di Giunone.
Le dimensioni colossali (62x54 m) si comprendono meglio se si confrontano con quelle del Foro Boario (10,60x10,60 m)!
La decorazione del Tempio, della statua di Giove (vestito con gli abiti e le insegne della regalità, corona, scettro toga purpurea e fascio di fulmini, poi indossate dai condottieri nel giorno del trionfo), e delle statue di culto, in terracotta, furono commissionate da Tarquinio il Superbo a Vulca, un coroplasta di Veio. Sempre ad artisti di Veio fu commissionata anche la quadriga di terracotta sul tetto. Secondo la leggenda sembra che durante la cottura la quadriga si sia ingrandita talmente da spaccare il forno. Questo prodigio venne interpretato come l'espansione del governo di Roma.
La storia del Tempio perciò è legata all'espansionismo romano, qui si svolgevano i riti precendenti la partenza per le guerre e al tempo stesso le processioni trionfali accordate dal Senato ai generali vittoriosi.
Inoltre in una teca di marmo vi si custodivano i Libri Sibyllini, una raccolta oracolare che veniva consultata in tempo di grave crisi per avere risposte risolutive. 
Divenne il simbolo della città di Roma e spesso fu riprodotto nelle città fondate.

Tempio di Giove - Musei Capitolini


Stauta di Ercole II sec.a.C.
Tempio di Giove


Il Tempio venne completamente distrutto a causa di un incendio nell'83 a.C. e fu ricostruito su ordine di Silla dal console Lutazio Catulo. Fu inaugurato di nuovo nel 69 a.C. e mentre il Tempio rimase della struttura precedente, la statua di Giove fu realizzata in marmo prendendo ispirazione dallo Zeus di Olimpia. Restaurato da Augusto fu di nuovo distrutto, sempre da un incendio, nel 69 d.C. a causa delle lotte tra i partigiani di Vespasiano e quelli di Vitellio. Venne restaurato da Vespasiano e nell'80 d.C. di nuovo un incendio lo distrusse.
La ricostruzione fu avviata da Tito e terminata da Domiziano. Nell'epoca di Domiziano fu impiegato lo stesso marmo del Partenone di Atene, furono introdotti nuovi elementi decorativi tipici corinzi, i tetti furono coperti di tegole in bronzo e le porte furono rivestite in oro. Al suo interno fu collocata una statua crisoelefantina (avorio e oro) di Giove, opera dello scultore Apollonios figlio di Nestore.
Il tempio era ancora intatto intorno al IV secolo, poi a causa delle spoliazioni non è rimasto che il basamento del Tempio più antico.




giovedì 21 maggio 2020

FORO TRANSITORIO o DI NERVA


Foro Transitorio o di Nerva

Il foro di Nerva trae le sue origini dalla necessità di completare grandi interventi urbanistici operati da Cesare (46 a.C.), da Augusto (2 a.C.) e Vespasiano (75 d.C), che nel corso di quasi 120 anni avevano portato alla pressoché totale cancellazione dell'Antico quartiere dell'Argiletum, attraverso la creazione di un complesso che ne raccordasse i rispettivi fori e che fu per questo denominato ufficialmente anche Forum Transitorium. Lo spazio rimasto tra i fori più antichi era una sorta di lungo corridoio di circa 8.000 mq, uno spazio lungo e stretto delle dimensioni di 45×170 metri. Si trattava del tratto finale dell’Argiletum, antichissimo percorso che collegava il Foro Romano al quartiere della Suburra (nell’area dell’attuale Rione Monti).
La trasformazione in Foro avvenne ad opera dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), tuttavia egli fu assassinato nel 96 e l'inaugurazione avvenne nell'anno 97 a cura di Nerva, suo successore (96-98 d.C.), a nome del quale il Foro è infatti tuttora conosciuto.

Gli interventi edilizi ebbero luogo in un arco temporale di circa 15 anni per un totale di:
11.000 m cubi di opera,
4537 m cubi di marmo distribuiti per oltre 3000 nella decorazione e nel rivestimento delle pareti della piazza, per più di 700 nel lastricato della piazza stessa e per i rimanenti 738 nella decorazione e nel rivestimento del tempio di Minerva (perlopiù di marmo bianco Lunense, di Carrara),
17.700 mc di calcestruzzo per le fondazioni.

Per poter disporre di spazio sufficiente fu necessario demolire l’emiciclo occidentale del Foro di Augusto. 

Questo ridotto spazio costrinse Domiziano a ridurre i portici laterali alla sola funzione decorativa dei muri perimetrali costruiti in tufo.
Collegata al muro perimetrale tramite tratti di architrave vi era una fila di circa 44 colonne ciascuna con un volume di 8 metri cubi, per un totale di 352 metri cubi. Colonne appena sporgenti in pavonazzetto (proveniente dall'odierna Turchia e di colore bianco con venature violacee) con capitelli corinzi. Di queste due in particolare sono visibili e sono note tradizionalmente come "le Colonnacce".
Chiamate in questo modo perchè ridotte in ruderi, ma ancora esistenti dopo ben XIX secoli!

Le Colonnacce

Di recente alcune indagini geognostiche, effettuate per la realizzazione della linea C della metropolitana, hanno fornito nuove informazioni riguardo soprattutto la consistenza delle fondazioni al di sotto delle Colonnacce pari a 6,80 m.
La trabeazione sovrapposta alle Colonnacce reca un fregio scolpito di 25 m, piccolo tratto dei centinaia presenti lungo il perimetro.
Vi sono 8 scene e 61 figure che raffigurano episodi mitologici della dea Minerva. In particolare una rappresenta il mito di Aracne (Ovidio, Metamorfosi, VI, 1-145) la quale sfidò con impudenza la dea Minerva in una gara di tessitura. Le storie filate da Aracne erano amori degli dèi dell'Olimpo con mortali, cosicché Minerva andò su tutte le furie, distrusse la tela e colpì Aracne, la quale tentò di impiccarsi. Minerva la trasformò in ragno e la condannò a tessere per l'eternità.

Al di sopra del fregio vi è un rilievo che mostra una figura femminile con elmo e scudo. Questa figura interpretata sempre come un’immagine di Minerva, sembra sia in realtà la personificazione dei Pirusti, popolazione balcanica assoggettata dai romani. A seguito della scoperta di altre 2 figure simili (una esposta al museo dei Fori Imperiali) si è ipotizzato che l'attico del Foro fosse decorato dai popoli dell'Impero Romano.

Passando all'emiciclo orientale del Foro di Augusto, esso fu conservato e gli fu addossato il Tempio di Minerva, caratterizzato da sei alte colonne in facciata e da un timpano particolarmente inclinato.
Alle spalle del tempio sorgeva la Porticus Absidata, un emiciclo a pilastri, articolato su più piani, che fungeva da ingresso monumentale.
Provenendo dalla Suburra dalla Porticus si entrava nella piazza del Foro attraverso l'Arco di Nerva, che a partire dal Medioevo fu chiamato "Arco di Noè".

Durante gli scavi del 2000, lungo una strada sorta sopra la pavimentazione della parte anteriore della piazza, si scoprirono due Domus Solarate (case a due piani), costituite da un piano terra con portico ed un primo piano, collocate lungo una strada sorta sopra la pavimentazione della piazza del foro, si tratta di case di età carolingia del IX-X secolo d.C. In questi due esempi di edilizia aristocratica, vennero reimpiegati blocchi ricavati dal recinto del foro.

Tra il 1566 e il 1572 il Cardinale Bonelli fece bonificare la zona a seguito di fuoriuscite dalla Cloaca Maxima, e fu realizzato un grande condotto fognario, il cosiddetto “Chiavicone”.
Nel 1606 il tempio di Minerva, fino a quel momento ben conservato, fu distrutto da papa Paolo V per realizzare, con le 10 colonne rimaste e i materiali recuperati, il fontanone dell’Acqua Paola sul Gianicolo e della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore.


Fontana dell'Acqua Paola o Fontanone

Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore



Del Foro di Nerva sono oggi visibili entrambi i settori orientale e occidentale, mentre la parte centrale della piazza si trova ancora inesplorata sotto Via dei Fori Imperiali.




Video: Ricostruzione Foro Transitorio

mercoledì 20 maggio 2020

STADIO DI DOMIZIANO


Stadio di Domiziano                   Pazza Navona


Nell'86 Domiziano, nell'ottica di istituire il Certamen Capitolium Iovi, che prevedeva gare musicali, ginniche ed equestri, fece erigere alcune strutture per ospitare tali eventi: il Circo per le gare equestri, lo Stadio per quelle ginniche e l'Odeon per quelle musicali. 

Per quanto riguarda il Circo Massimo, dopo l'incendio del 64, Domiziano ne amplifica la struttura aumentandone la capacità di accoglienza di spettatori.
Invece in Campo Marzio, una zona caratterizzata da edifici pubblici dediti all'intrattenimento, allo spettacolo (Teatro Balbo, Pompeo e di Marcello) e alle terme (di Agrippa e di Nerone), fece erigere lo Stadio, molto probabilmente dove sorgeva il complesso del ginnasio neroniano, e l'Odeon
Campo Marzio, veniva considerato il quartiere del lusso, dell'otium, dove l'aurea Roma dei flavi andava per farsi ammirare e dove si compravano oggetti raffinati come sculture greche e vetri preziosi. In questo modo accresceva l'aspetto elegante raffinato ed ellenico dell'intero quartiere. Probabilmente non è un caso che vi venivano rappresentate manifestazioni di origine greca.
L'Odeon, dove si svolgevano competizioni letterarie e spettacoli, era un grande spazio coperto, ed era coordinato anche, topograficamente, al teatro di Pompeo dove si svolgevano invece all'aperto. 
In questo modo si creava una struttura capace di coprire tutte le esigenze di rappresentazioni sceniche, anche nei casi di pioggia, quando il Teatro di Pompeo non si poteva utilizzare.
Questo tipo di complesso era già presente nelle grandi città greche ma assente fino ad allora nella capitale dell'Impero.

Il nome stadio deriva da stadion l'unità di misura equivalente a 600 piedi (circa 180 m).  Esso è l'unico esempio di stadio in muratura eretto al di fuori della Grecia, dopo quelli costruiti in legno da Cesare ed Augusto. Prima della sua costruzione, infatti, le gare di atletica si svolgevano nel Circo Massimo o nel Circo Flaminio, in occasione delle quali venivano eretti stadi in legno smontabili dopo l'uso.

Il progetto dello Stadio si presenta come un edificio originale, una disposizione, e probabilmente un arredo interno, ideata soprattutto per gli utenti che attraversavano o utilizzavano il piano terra, che potevano disporre di ampie sale e percorsi dalle molteplici potenzialità. 
Dato che i giochi venivano celebrati ogni cinque anni, si prese in considerazione l'utilizzo dell’ambulacro esterno come un ambiente dove, nei giorni ordinari, si potessero percorrere passeggiate al coperto.

Lo Stadio di Domiziano ha forma circense (mt. 265 x 106) risulta come un rettangolo molto allungato, con un’estremità in forma di emiciclo e l’altra rettilinea e leggermente obliqua; si differenzia dal circo soprattutto per le dimensioni più ridotte e per l'assenza della spina, dell'obelisco e delle carceres. Poteva contenere fino a 30.000 spettatori.

La costruzione era in blocchi di travertino in facciata nei portici esterni e negli atri degli ingressi principali e in opera laterizia per tutto il resto; le pareti interne erano rivestite di stucco sobriamente decorato. La pista doveva essere in terra battuta. 
La facciata esterna era costituita da una doppia serie di arcate poggianti su pilastri, l'inferiore di ordine ionico, il superiore di ordine corinzio.
E' quanto mai probabile che l'ingresso principale fosse sul lato meridionale rivolto verso l'Odeon ed il Teatro di Pompeo.

Ambulacri

L’edificio era raggiungibile attraverso tre gradini ricavati direttamente tra i pilastri; era circondato da un’area pavimentata in lastre di travertino, sistemazione che facilitava l’accesso per il pubblico lungo tutto il perimetro. Le gradinate poggiavano su un sistema, che si ripete: ambulacro esterno, mediano e interno.

La fuga delle gradinate era spezzata in corrispondenza degli assi principali da palchi destinati all'imperatore e alle autorità civili e religiose. 

Stadio di Domiziano
 
 
Stadio di Domiziano

Stadio di Domiziano


Un aureo di Settimio Severo coniato dopo l'anno 202 d.C. mostra sul rovescio, in pianta e in prospetto, lo Stadio.Nella pista priva di spina e di obelisco, e pertanto non confondibile con un circo, sono raffigurati gli atleti intenti nella corsa nella lotta e nel pugilato e nel centro la proclamazione e l'incoronazione del vincitore; nella tribuna coperta con il baldacchino seduto il giudice di gara o forse l'imperatore.

Nella moneta sono riportati gli elementi essenziali del monumento e viene dato particolare risalto alla presenza di statue nei fornici superiori. 


Conio epoca Settimio Severo

E' noto che nelle immediate vicinanze dello Stadio sono stati rinvenuti gruppi marmorei e statue singole, opere di insigni artisti, che probabilmente erano ubicati nei fornici superiori o collocate nelle nicchie delle aule del piano terreno come Pasquino (gruppo raffigurante Patroclo morente sorretto da Menelao). Si ricorda inoltre un torso simile all’Apollo Liceo di Prassitele rinvenuto durante gli scavi dell’emiciclo e conservato nel monumento. L’opera di Prassitele era posta nel Ginnasio di Atene e rende la presenza di una tale statua nello Stadio di particolare significato. 

Torso somigliante all'Apollo Liceo

Oltre a questi si ritengono pertinenti all’edificio un frammento di un’oca coperta in parte da un lembo di mantello riconducibile al Pothos di Skopas, 

Oca del Pothos di Skopas

un torso in marmo riconosciuto come una copia dell’Atleta che si unge tipo Monaco, rinvenuto nel 1940 in via Zanardelli, una testa pertinente all’Apollo tipo Kassel di Fidia, e l’ Ermes che si allaccia il sandalo di Lisippo. 

Quindi tutte repliche di noti originali greci che ritraggono figure del mondo eroico e atletico adeguate alla decorazione di un edificio dedicato agli sport e agli ideali che ispiravano gli agoni. 

Al tempo di Macrino (217 d.C.), in seguito all'incendio che aveva devastato il Colosseo, lo Stadio subì lavori di adattamento per ospitare i giochi gladiatori e al tempo di Alessandro Severo (228 d.C.) venne restaurato.

Alla metà del IV secolo era ancora integro tanto da destare l'ammirazione dei visitatori ed essere ancora usato per gare di atletica che i Romani continuavano a chiamare con termine greco Agones. 
Una chiesetta dedicata a S. Agnese si stabilì in età tardo antica in uno dei fornici prospicienti via S. Maria dell'Anima, mentre durante il medioevo negli ambulacri trovarono posto stalle e magazzini; l'edificio fu successivamente ridotto a rudere dal sistematico saccheggio di marmi e travertini. 
Piazza Navona è l'eccezionale esempio della sopravvivenza topografica dello Stadio. Le case edificate sopra i resti della cavea hanno conservato e tramandato la forma dell'antico Stadio lasciando libera da costruzioni tutta l'area della pista trasformata in piazza monumentale. 
Resti dello Stadio sono infatti presenti, oltre che nei sotterranei del Palazzo dell'INA in piazza di Tor Sanguigna 16, anche in molte delle cantine delle case private prospicienti Piazza Navona e, in quantità cospicua, sotto Palazzo Pamphilj oltre i resti, da sempre conosciuti, ubicati nei sotterranei della Chiesa di S. Agnese e de L'Ecole Française de Rome.
Curiosità:
L’imperatore Domiziano fece trasportare l'obelisco, che oggi è al centro di Piazza Navona, dalla città egiziana di Assuan, poi, seguendo una prassi insolita, vi fece incidere i geroglifici che lo decorano e che cantano le lodi dell’imperatore. Domiziano vi è anche raffigurato, tra due divinità, nel momento di ricevere una corona. Non si conosce con esattezza la collocazione originaria che Domiziano aveva scelto per l’obelisco, forse il santuario di Iside in Campo Marzio. Nel IV secolo d.C., l’imperatore Massenzio lo fece trasportare nel Circo della sua Villa sull’Appia. Crollato nel medioevo, fu recuperato da Papa Innocenzo X Pamphilj e collocato al centro di Piazza Navona, all’interno del progetto di celebrazione della sua casata, realizzato nel 1651 da Gian Lorenzo Bernini. Sormontato dalla colomba dello Spirito Santo, stemma araldico della famiglia papale, l’obelisco divenne il fulcro della celebre Fontana dei Quattro Fiumi.
Piazza Navona

 
L’introduzione di agoni atletici a Roma avvenne lentamente e questa sua modalità di introduzione rivela un progressivo cambiamento di mentalità, inscrivibile nel processo di ellenizzazione della società romana. Dopo Caligola e Claudio che tentarono a loro volta di introdurre i certamina graeca, fu Nerone che nel Campo Marzio fece svolgere dei giochi quinquennali, chiamati poi neronia: un triplice certamen caratterizzato da esibizioni musicali, equestri e ginniche che si svolgevano nel ginnasio nei pressi delle Terme Neroniane , poste tra il Pantheon ed il futuro Stadio di Domiziano. Ma il costume greco non era ancora ben visto dall’aristocrazia romana, come dimostra il noto passo di Tacito in cui sono condannate le influenze greche corruttrici della morale tradizionale romana.
A differenza dei Neronia, che Nerone aveva voluto intitolare alla sua persona, i giochi voluti da Domiziano erano dedicati, accortamente, alla massima divinità del Pantheon romano, Giove Capitolino, in conformità con le Olimpie sacre a Zeus Olimpio.
L'istituzione dei Capitolia nell’86, gara quinquennale, entrò definitivamente nel calendario delle feste romane. A presiedere i giochi era lo stesso imperatore cinto sul capo da una corona d’oro con l’effigie di Giove, Giunone e Minerva e vestito di toga purpurea alla foggia greca affiancato dal Flamen Dialis (sacerdote legato al culto di Giove) e dal collegio dei sodales Flaviales che indossavano anch’essi una corona con l’immagine dello stesso imperatore, quasi fosse un dio, tra gli altri dei. 

Nello Stadio si svolgevano le gare sportive strutturate sul ciclo olimpico greco: atletica leggera (corse di vario tipo), atletica pesante (lotta, pugilato e pancrazio)


La lotta

Il pugilato

Il pancrazio

oltre alle gare riunite nel pentathlon (corsa, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, lotta)

Lancio del giavellotto

Lancio del disco

Il salto

La corsa

La gara più importante era la corsa dello stadio, (circa 180 metri), veniva disputata per prima, gli atleti gareggiavano con il corpo nudo e senza calzari. 
Altri tipi di corsa erano il diaulos (due stadi), il dolichos (lunghezza variabile tra i 7 e 20 stadi) e quella degli oplites, la corsa degli uomini in armi che chiudeva la rappresentazioni. Grande popolarità riscuoteva la lampadedromia, una staffetta a squadre in cui il testimone era costituito da una fiaccola che doveva rimanere accesa. Si tennero anche una gare di corsa tra fanciulle come a Sparta.
Alle gare, che si svolgevano in tarda primavera e si concludevano il 12 giugno, partecipavano atleti di professione, provenienti da ogni parte dell'Impero, anche se in massima parte provenienti dalla Grecia.
Il premio per i vincitori era costituito da una corona di foglie di quercia e di ulivo, gli alberi sacri a Giove e a Minerva, ma cosa ancor ben più importante era la cittadinanza romana. Questo determinava un altissimo numero di partecipanti, tanto che un anno non si riuscirono a disputare le Olimpiadi. Sulle tombe di alcuni agoni talora veniva ricordata una vittoria conseguita nell'Agone Capitolino. 
L’agone capitolino comunque non riuscì mai a sostituire il favore che i munera avevano presso i romani, troppo grande era la distanza che separava l’equilibrio degli agoni atletici dalla crudezza dei combattimenti gladiatori. Inoltre l’agone capitolino si disputava solo ogni cinque anni, al contrario dei munera che si celebravano molto più frequentemente. Ciononostante esso piacque ai ceti colti dell’aristocrazia e persino un imperatore come Marco Aurelio, successivamente, praticò discipline come la corsa, la lotta ed il pugilato. 
certamina gymnica nello Stadio furono disputati per molto tempo anche dopo l'avvento del Cristianesimo e l'abolizione dei giochi cruenti negli anfiteatri.

I resti dello Stadio di Domiziano sono stati dichiarati dall’ Unesco patrimonio dell’umanità e sottoposti a tutela indiretta con Decreto Ministeriale del 7 Aprile 1954.

Da vedere: Ricostruzione Stadio di Domiziano - Altair4